Lavoro Pari opportunità

Pubblicato il Gender Policies Report di INAPP

L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) ha pubblicato il Gender Policies Report (rapporto sulle politiche di genere)

Il Gender Policies Report, presentato il 26 febbraio, in occasione del webinar dal titolo “Gender Policies Report: riflessioni e prospettive in ottica di genere dopo un anno di emergenza sanitaria” mette in luce come a essere maggiormente penalizzate nel periodo della pandemia siano proprio le donne, tanto da essere costrette a lasciare il lavoro.

I dati del Gender Policies Report sul lavoro femminile
Nell’ultimo anno le donne e i giovani sono state le più colpite dalle conseguenze del lockdown. Nel secondo trimestre dello scorso anno sono 470 mila le lavoratrici che sono rimaste a casa, mentre il tasso di occupazione femminile è sceso al 48,8%, circa 20 punti in meno rispetto al 66,6% degli uomini. Risultati che fanno attestare l’Italia ai livelli più bassi in Europa. Se da un lato le donne hanno scelto di stare a casa per prendersi cura dei figli costretti a fare didattica a distanza con le scuole chiusure, oltre che di persone anziane, dall’altro lato emerge una scarsa condivisione con gli uomini.

Gender Policies Report, il post lockdown
Secondo il report “Il post lockdown: i rischi della transizione in chiave di genere”, in Italia persiste ancora una differenza retributiva tra uomini e donne, con i primi che guadagnano di più rispetto alle donne che oltretutto devono a sopportare la maggior parte del carico familiare. Sulla base di questa divisione familiare, nel 15% dei casi le donne hanno preferito rimandare il proprio rientro sul posto di lavoro e in alcuni casi anche abbandonarlo. A nulla sono serviti interventi come i Congedi specifici previsti per l’emergenza Covid-19. A usufruirne maggiormente sono state proprio le donne nella misura del 90%, e solo l’8% lo ha usato in condivisione con il partner. Per il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda “dall’indagine svolta dal nostro istituto emerge che il carico di cura incide fortemente sulle dinamiche della transizione tra la fase del lockdown e la fase della graduale ripresa delle attività lavorative acutizzando la diseguaglianza di genere e intralciando una più robusta ripresa economica”.

Gender policies report, lo smart working
L’anno della pandemia sarà ricordato anche come l’anno dello smart working. E proprio nell’ultimo anno sono emersi pregi e difetti di questa opportunità che, secondo l’Inapp, ora deve essere sostenuta con una contrattazione collettiva. Secondo Fadda è necessario “un intervento quadro del governo all’interno del quale si possano disegnare modalità organizzative aderenti all’evoluzione delle tecnologie e alle competenze dei lavoratori nelle diverse realtà produttive”. Prima del coronavirus lo smart working era un fenomeno residuale che coinvolgeva appena 570 mila lavoratori. Nella fase più acuta della pandemia, in pieno lockdown, sono stati oltre 8milioni gli italiani che hanno dovuto cambiare il modo di lavorare. Si è fatto poi soprattutto telelavoro: vale a dire lo svolgimento da remoto delle stesse mansioni che si facevano in ufficio. “Lo smart working vero e proprio” ha proseguito Fadda “comporta invece una complessa riorganizzazione: cambiano le mansioni, i processi produttivi, i tempi e i luoghi di lavoro. È un processo di re-ingegnerizzazione che punta alla responsabilità di gruppo, al contenuto e al risultato”.

Lo smart working ha favorito gli uomini
Lo smart working ha favorito i redditi alti e gli uomini. “È emersa” ha detto il presidente dell’Inapp “la disparità presente nel mondo del lavoro. Si tratta di un dato statistico: la forza lavoro femminile e quella con minore retribuzione è concentrata in funzioni scarsamente remotizzabili. Con il lockdown queste persone hanno dovuto interrompere l’attività, perdendo reddito, o hanno dovuto esporsi ad un rischio elevato di contagio”. La pandemia ha penalizzato anche i giovani. Molti hanno perso il lavoro “perché svolgendo mansioni base non hanno potuto accedere allo smart working, altri in quanto precari non hanno avuto il rinnovo del contratto”.

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