Diritti Lavoro

Salario minimo, come applicare la direttiva europea

La critica di Unimpresa rispetto alla direttiva europea sul salario minimo: mancano i dati per una comparazione delle retribuzioni contrattuali

“In materia di retribuzioni, il dibattito sul salario minimo ha messo in evidenza come la pluralità di definizioni delle retribuzioni complica la lettura comparata dei testi contrattuali oltre alla parziale mancanza di dati comparativi. In pratica, emerge l’urgenza di creare un metodo condiviso e univoco di selezionare le voci che definiscono il minimo salariale adeguato a quanto previsto dalla direttiva” dichiara il consigliere nazionale per le relazioni industriali di Unimpresa Marco Pepe in un suo scritto a seguito dell’approvazione del documento del Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro).

Un salario minimo difficile da attuare
Nel suo scritto, il consigliere Marco Pepe spiega che la direttiva europea non impone un livello base per legge della paga oraria, ma mira solo a garantire una tutela per i lavoratori, preferendo la soluzione contrattuale a quella legislativa. In effetti, la struttura della retribuzione in Italia non è pensata in funzione di una “tariffa oraria”, diversamente da altri Paesi europei. A fare da guida da noi “sono diversi valori che hanno lo scopo di valorizzare la produttività, la flessibilità organizzativa, del welfare contrattuale e della bilateralità” scrive il consigliere nazionale nel documento in cui analizza la proposta sul salario minimo approvata il 12 ottobre 2023 dal Cnel.

La proposta sul salario minimo
Il documento del Cnel, costituito da una prima parte di inquadramento e analisi e una seconda parte con conclusioni e proposte, è stato presentato entro i 60 giorni indicati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta di un contributo di “osservazioni e proposte” per facilitare il compito di Governo e Parlamento nella elaborazione della legislazione economica e sociale – come ha spiegato il presidente del Cnel Renato Brunetta il quale sottolinea come esso tenda a far leva su “un ampliamento e consolidamento degli spazi della contrattazione collettiva di qualità” minimizzando l’intervento parlamentare in tali questioni e “preferendo piuttosto seguire la via indicata dalla Costituzione di affidare alle parti sociali il compito di governare le dinamiche del mercato del lavoro intrecciando i temi del salario a quelli della produttività e della qualità del lavoro”. Il documento (in allegato:  Salario_minimo_in_Italia-documento-CNEL  ) approvato a larga maggioranza dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro individua una “cassetta degli attrezzi” per gestire in modo articolato e mirato le diverse criticità del lavoro povero e dei salari minimi adeguati per tutti i lavoratori (non solo i dipendenti e non solo i livelli più bassi delle scale di classificazione contrattuale).

Cnel

Il commento di Unimpresa
“Il documento di riflessione in materia di salario minimo approvato dall’Assemblea del Cnel è molto articolato e puntuale” spiega Unimpresa: “affronta la materia complessa del lavoro povero legato al salario minimo e alla produttività tenendo conto di una visione d’insieme degli elementi che li compongono”. Secondo Pepe è “essenziale individuare una corretta strada da intraprendere, non trascurando certamente quanto indicato nel documento del Cnel circa il sommerso, le altre forme di lavoro, il sistema cooperativistico. Tutto questo rilevando che altre cause sono in gioco come, a esempio, il numero delle settimane lavorative, il lavoro temporaneo, il part-time, il sistema degli appalti. Il dibattito sul salario minimo ha il pregio di aver scoperto il vaso di Pandora, determinato da fattori che negli anni passati non sono stati ben gestiti ed oggi siamo in corsa per riorganizzare al meglio la mole di lavoro atteso e, in più, dobbiamo attendere dati freschi che mancano”.

Marco Pepe

La direttiva sul salario minimo
La direttiva sul salario minimo (in allegato direttiva europea sul salario minimo tradotta in italiano) si è basata sui seguenti dati: i salari minimi più alti sono accordati in Lussemburgo, Irlanda e Germania; quelli più bassi in Bulgaria, Lettonia ed Estonia. Nell’UE, 21 Paesi su 27 hanno un salario minimo garantito, mentre gli altri sei (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) determinano i livelli salariali sulla base della contrattazione collettiva delle retribuzioni. Il consigliere nazionale per le relazioni industriali di Unimpresa osserva che “la direttiva Ue 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nella Unione europea, anche in ragione dei vincoli per l’Italia con riferimento alla sua trasposizione nel nostro ordinamento giuridico prevista entro il 15 novembre 2024, non impone alcun obbligo di fissare per legge un salario minimo. Quelle norme dell’Unione europea, al contrario, tendono a promuovere il diritto dei lavoratori a una tutela garantita dal salario minimo, preferendo la soluzione contrattuale a quella legislativa”.

La forza delle direttive europee
Una direttiva è un atto giuridico che stabilisce un obiettivo che i Paesi dell’UE devono conseguire ma spetta ai singoli Paesi definire, attraverso disposizioni nazionali, come conseguirlo. Il punto dunque è che in un modo o nell’altro l’Italia è obbligata a stabilire un salario minimo adeguato. Lo si può fare anche attraverso i contratti nazionali ma le tabelle vanno rispettate: i minimi devono esserci. Ricordiamo anche che i contratti hanno forza di legge. Quando si parla di contrattazione salariale dunque si parla di Contratti collettivi nazionali e non di generica contrattazione tra la singola azienda e il dipendente o collaboratore che sia. E’ importante fare attenzione alle parole, alle definizioni esatte o si rischia di creare un mare magnum di singoli contrattini che sfuggono a ogni controllo e alla legalità qualora non rispettassero il requisito del minimo salariale (ovvero del pagamento della prestazione lavorativa oraria o giornaliera di qualsiasi tipo, compresa quella dei consulenti o dei lavoratori autonomi o dei prestatori occasionali). Ogni lavoratore ha diritto a questa tutela e deve anche potersi appellare a un documento ufficiale riconosciuto pubblicamente, ottenendo il giusto compenso senza essere costretto ad accettare per una “contrattazione” personale che di fatto è un ricatto (poco) morale.

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