Il Paese dei Giornalisti… precari
Presentato il rapporto annuale sulla situazione dei giornalisti italiani dal titolo Il Paese dei Giornalisti. Meno di un giornalista su cinque ha un contratto a tempo indeterminato. Garanzie per i giornalisti invocate a gran voce da più interlocutori
Ci sono passioni che, se coltivate ed approfondite con l’ausilio di studi mirati, possono sfociare in vere forme di professionalità. Chi è amante della scrittura molto spesso ha cavalcato ostacoli di diversa natura per diventare giornalista, ma nonostante i costanti sacrifici l’intera categoria è continuamente minacciata da limitazioni di ogni genere e dubbie proposte contrattuali.
Essere giornalisti in Italia sembra sia diventata impresa ardua. Infatti, colleghi di consolidata esperienza o di recente formazione sono chiamati a misurarsi con scenari professionali vacillanti, dominati da contratti di durata limitata, se non proprio da scandalose realtà sommerse.
A chiarire la situazione, in merito agli operatori nel comparto dell’informazione, è stato l’incontro organizzato dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) in occasione della Giornata internazionale “Stand up for journalism”, promossa dalla Federazione europea dei giornalisti. Durante l’incontro sono stati divulgati i dati del rapporto 2013 sulla professione giornalistica in Italia, dal titolo “Il Paese dei giornalisti”, curato da LSDI (Libertà di stampa diritto all’informazione), lo specifico gruppo di lavoro del Sindacato unitario dei giornalisti italiani, e in particolare dal giornalista Pino Rea, consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
L’Ordine dei Giornalisti è sovraffollato: una persona ogni 526 abitanti ha il tesserino da giornalista (mentre in Francia è giornalista 1 persona ogni 1.778, in Cina è giornalista una persona ogni 4.303 abitanti e negli Stati Uniti una ogni 5.333 abitanti). Il numero di operatori dell’informazione al 31 dicembre 2012 in Italia era pari a 112 mila, cifra che tende ad aumentare e che fa apparire il nostro come un Paese di giornalisti. Eppure la parte di indagine svolta dall’INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani) apre uno scenario differente da quello descritto: non tutti i giornalisti svolgono infatti un’effettiva attività giornalistica: dei 112 mila giornalisti censiti solo una minoranza (47.727) versa i contributi all’INPGI e dunque lavora in questo campo. Ricordiamo infatti che i versamenti dei contributi INPGI sono obbligatori per tutti gli iscritti all’Albo, anche per chi svolge l’attività in forma parasubordinata o autonoma o occasionale. Unica eccezione, chi lavora in un ufficio stampa di un ente pubblico che può versare i contributi ad altro ente previdenziale.
Un altro dato emerso dalla ricerca effettuata è la diminuzione dei contratti per i lavoratori dipendenti, parallela all’aumento del numero dei lavoratori autonomi. I giornalisti dipendenti rappresentano ormai solo il 18,8% degli iscritti all’Ordine, contro il 19,1% del 2011 e ciò significa che meno di un giornalista su cinque ha un contratto a tempo indeterminato.
Così, mentre i giornalisti con contratto di lavoro dipendente diminuiscono dell’1,6%, crescono del 7,1% i lavoratori autonomi al punto che oggigiorno ci sono 6 giornalisti su 10 che svolgono attivamente lavoro autonomo – circa il doppio di 13 anni fa.
Questi i primi dati emersi dalla presentazione del rapporto, che ha dato modo ai relatori di esprimersi anche su altri fronti. Vediamoli.
Ha aperto i lavori Franco Siddi, segretario generale della FNSI, che ha incentrato il proprio intervento sulla situazione occupazionale esistente, decisamente precaria: “il lavoro dipendente” ha detto “decresce perché le aziende – nonostante i nuovi canali mediatici – tendono a snellire il personale; e mi rammarica sapere che Repubblica sta avviando una nuova fase di licenziamenti, nella misura di 81 giornalisti. Se vi fossero imprese sane e solide, non vivremmo la situazione attuale, che genera la necessità di trovare delle vie di fuga nel lavoro autonomo, che non è il solo a penare un alto scotto, dato che le difficoltà riguardano anche i dipendenti”.
“Il precariato” ha continuato il segretario generale della FNSI “è una realtà gravemente pesante che colpisce collaboratori e garantiti che, massicciamente, finiscono in cassa integrazione, in disoccupazione o vengono salvati temporaneamente con contratti di solidarietà”.
Riguardo alla situazione reddituale dei giornalisti, il segretario si è così espresso: “in merito ai redditi provenienti dal lavoro autonomo mi preme sottolineare che sono nettamente bassi e in più di una circostanza sono stati apripista di situazioni di sfruttamento. La soluzione? Una maggiore azione sindacale può agevolare un piano occupazionale migliore, ma abbiamo bisogno di migliori garanzie che solo nuove leggi possono darci, senza che il legislatore possa intervenire per costruire un potere di condizionamento sull’informazione. Sarei felice se i pagamenti concessi agli autonomi fossero paragonabili a quelli dei giornalisti dipendenti. Dati allarmanti riguardano gli incrementi di iscritti degli ultimi dieci anni – pari al 40% – e vediamo come nelle regioni del Sud siano rilevanti. Nella Puglia gli associati all’ordine sono cresciuti con punte dell’83% mentre in Campania sono lievitati fino a toccare il 68%”.
E proprio sul reddito, o meglio sul gap di reddito esistente tra giornalisti autonomi e subordinati, si gioca gran parte della partita. Il reddito medio di un giornalista italiano nel 2012 – a prescindere che si trattasse di lavoratore dipendente o autonomo – è stato in media di 33.557 euro, salario nettamente superiore a quello dei giornalisti inglesi, che guadagnano mediamente 24.500 sterline l’anno (28.938 euro), e americani, che guadagnano 42.000 dollari l’anno (30.976 euro), ma di molto inferiore a quello dei colleghi francesi, che nel 2012 hanno guadagnato una media di 44.473 euro.
Scorporando i dati, vediamo però una notevole differenza – una forbice sempre più larga – tra giornalisti free lance (la maggior parte degli autonomi), i collaboratori fissi e i contrattualizzati a tempo indeterminato. Una media infatti si fa tra i redditi maggiori (dei dipendenti) e quelli minori (degli autonomi) ma bisogna considerare i redditi reali delle due categorie: un giornalista dipendente guadagna in media 62.419 euro, un giornalista autonomo guadagna in media 11.278 euro. Inoltre, il reddito medio dei ‘free lance’ è cresciuto di poco (354 euro in più rispetto al 2011), quello dei Co.co.co. è addirittura diminuito di 730 euro, con un calo del 7,5%.
Sono i collaboratori fissi (i Co.co.co., che hanno un contratto di lavoro parasubordinato) a guadagnare di meno. Per spiegarci meglio: un giornalista dipendente guadagna 5 volte di più di un giornalista free lance e 7 volte di più di un collaboratore.
Paolo Serventi Longhi – vicepresidente dell’INPGI – si è soffermato sull’aspetto contributivo ed ha affermato: “l’obbiettivo principale deve essere quello di offrire tutela per stabilizzare i colleghi, includendo almeno in aziende editoriali 3-4000 precari, facendo ricorso pure a strumenti più flessibili, azioni che consentirebbero di sbloccare un mercato del lavoro ingessato. Tutti sappiamo che in nove mesi sono stati cancellati, purtroppo, 600 posti di lavoro dipendente e mi spiace ammettere che, se questo meccanismo non verrà interrotto, si creerà un impoverimento dei colleghi con contratto a tempo determinato”.
“La mia ricetta per una rinascita della categoria” ha concluso Serventi Longhi “è basata sull’aumento dei contrattualizzati, altrimenti il sistema previdenziale avrà scarse possibilità di sopravvivenza”.
Altri spunti di riflessione hanno caratterizzato l’intervento di Enzo Iacopino, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti (vedi la videoregistrazione del suo intervento n.d.r.).
Secondo il presidente Iacopino, “gli editori sono incuranti delle difficoltà dei giovani giornalisti ed agiscono come degli schiacciasassi. Andiamoci poi con cautela con i numeri degli iscritti, perché fra di essi ci sono 21.698 persone che fanno capo all’elenco speciale o a quello degli stranieri oppure sono pensionati (13.638)”.
“Siamo tutti responsabili di questo scenario” ha detto il presidente dell’Ordine riferendosi ai dati del rapporto “e non c’è dubbio che la riforma dell’Ordine sia necessaria, ma non può diventare un alibi e non bisogna sfuggire alle responsabilità che tutti abbiamo”.
Di giornalismo reale e fittizio ha parlato Giovanni Rossi, Presidente della FNSI: “lo status di giornalista è associato ad un effettivo esercizio della professione; ciò significa che si è considerati tali solo se si ha una posizione attiva, inserita in una delle due gestioni INPGI. Sono concesse deroghe solamente per quei colleghi, operanti negli uffici stampa di aziende private ed enti pubblici, che sono iscritti dai loro datori di lavoro in registri differenti dall’INPGI”.
Un ulteriore apporto alla discussione è stato dato dal Maurizio Bekar, responsabile dell’area Lavoro autonomo della FNSI, una parte del cui intervento riportiamo in video.
In attesa che il Parlamento si pronunci sulla riforma dell’Ordine dei Giornalisti, la speranza comune di tanti giornalisti, indipendentemente dalla loro condizione contrattuale, è che si possa riconoscere alla professionalità messa in campo il giusto merito: infatti, in più di una circostanza, il lavoro di tanti reporter è stato derubricato ad hobby saltuario.
Paola Paolicelli