Lavoro Mestieri e professioni

Il mondo del lavoro non trova giovani professionisti

AAA giovani professionisti di talento cercasi. Gli studi professionali non trovano nuove leve. Cause e soluzioni proposte da MpO

Si è svolta a Milano la tavola rotonda dal titolo “La difficoltà degli studi a trovare giovani professionisti: cause e soluzioni” organizzata da MpO – prima realtà in Italia specializzata in aggregazioni/fusioni/acquisizioni di realtà professionali – con l’obiettivo di capire quali possono essere le ragioni di una diffusa crisi vocazionale negli under 35 e le possibili soluzioni. Al dibattito hanno partecipato Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni; Marcella Caradonna, presidente ODCEC Milano; Carlo Gagliardi, managing partner di Deloitte Legal; Corrado Mandirola e Alessandro Siess, founder partner di MpO.

La difficoltà a reperire giovani professionisti negli studi
“In Italia, soprattutto dopo il Covid, sono cambiate molte cose anche dal punto di vista psicologico e degli obiettivi di carriera che tutti noi ci poniamo” ha introdotto Corrado Mandirola di MpO “Lo dimostra il sempre crescente numero di progetti aggregativi che si concretizzano nel mondo professionale: sia perché il singolo consulente ha capito che fa fatica a resistere di fronte ad una concorrenza sempre più strutturata e magari multidisciplinare, sia perché la domanda da parte del mercato richiede competenze diversificate e specializzate allo stesso tempo. Accanto a questo processo ormai irreversibile, riscontriamo però sempre di più una crescente difficoltà a livello nazionale, tra gli studi professionali con cui collaboriamo, nel reperire nuovi professionisti. La problematicità è ancora maggiore tra i giovani che manifestano un set di valori differente rispetto alle generazioni precedenti. Questi sembrano dare meno importanza alla dedizione alla carriera, favorendo invece il tempo libero e la qualità della vita in generale. Inoltre, risulta evidente una certa riluttanza dei giovani professionisti a lavorare in studi monodisciplinari. Al contrario, mostrano una notevole propensione a collaborare con realtà più complesse e multidisciplinari, come gli studi aggregati”.

Giovani professionisti. I tirocinanti che mancano
Marcella Caradonna, presidente di ODCEC (Ordine dottori commercialisti ed esperti contabili) Milano, ha evidenziato come, nonostante l’ordine sia in crescita in termini di iscritti, non ci sia una corrispondenza tra la domanda ed il numero di tirocinanti: “Milano, peraltro, è già più attrattiva rispetto ad altri contesti, perché ha già visto la trasformazione di molti studi di singoli consulenti e comunque offre tematiche più variegate. Proprio per capire più a fondo le visioni e le aspettative dei giovani laureati nei confronti del mondo del lavoro, l’ordine di Milano ha avviato una collaborazione con le Università Bicocca, Cattolica e Bocconi per effettuare un’indagine motivazionale approfondita in modo che il nostro mondo risponda efficacemente a questo calo di immagine della professione”.

I giovani cercano altro
Anche Carlo Gagliardi, managing partner di Deloitte Legal, condivide che la professione abbia perso il suo fascino: “Dopo la Pandemia c’è stata un’emorragia di giovani che sono migrati dal mondo professionale a quello aziendale o ad ambiti completamente diversi. Sicuramente oggi il fenomeno si è placato, ma resta che è necessario offrire ai giovani una prospettiva più ampia, sia in termini di materia che di giurisdizione. È inoltre fondamentale mettere insieme attività umane e tecnologia”.

Le riforme
“Dopo quasi 80 anni dalla prima legge professionale, nel 2012 ci sono stati numerosi interventi volti a favorire i principi di liberalizzazione e concorrenza anche di origine eurounitaria” aggiunge Gagliardi. “La riforma ha posto le basi del libero mercato nel mondo della professione legale e indica la necessità di prevedere l’esercizio della professione in forma societaria, con il conseguente ingresso di capitali. Si è trattato di una rivoluzione copernicana poiché è stato messo in discussione il primato degli avvocati e degli ordini rispetto alle attività di consulenza pur legale ma non riservate, si è aperto al capitale necessario a finanziare gli investimenti in fattori produttivi (in primis la tecnologia) e con l’eliminazione delle tariffe si è consentito alla legge della domanda e dell’offerta di incidere in maniera sostanziale nella determinazione del valore delle prestazioni degli avvocati, con un goffo tentativo di mitigazione rappresentato dall’introduzione del concetto di equo compenso. Alla maggiore competizione non è corrisposto il necessario spirito di trasformazione della professione, ma solo una pressione sugli onorari degli avvocati, che invece di innovare e efficientare i loro processi di creazione del valore hanno ridotto i loro corrispettivi per rimanere competitivi. Ciò ha avuto un effetto negativo, in particolare per coloro che si sono specializzati in aree di pratica meno richieste, e ha determinato una maggiore frammentazione del mercato, rendendo ancora più difficile per i (molti) giovani avvocati affermarsi ed emergere”.

I neolaureati non scelgono le professioni
Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, ha proposto: “per contrastare la disaffezione dei giovani verso la professione è necessario oggi incentivare un approccio positivo a partire dalle scuole superiori. Pensiamo che solo il 28% dei neolaureati fanno poi i professionisti per le complessità che comporta: reddituali, di flessibilità (che dopo la pandemia è diventato un aspetto importante), di tutele… Da parte del legislatore non c’è mai stata un’attenzione in questi termini verso il professionista, che al contrario è tartassato da una burocrazia asfissiante, da una concorrenza che ha effetti negativi sui redditi del piccolo studio, e non gode né di tutele né di agevolazioni. Il legislatore dovrebbe equiparare il mondo professionale a quello delle imprese e riconoscere pari opportunità, permettendo magari l’accesso ai fondi europei o a quei crediti che sono concessi alle aziende. Per esempio, un giovane che vuole aprire uno studio dovrebbe godere degli stessi incentivi di una start-up innovativa. O di altre agevolazioni per l’assunzione di dipendenti. Il legislatore deve intervenire, anche nell’indirizzare i giovani verso le specializzazioni che oggi il mercato richiede!”.

I giovani professionisti sono ricercatissimi ma…
É Alessandro Siess, founder partner di MpO, a chiudere i lavori a commento del fatto che innovazione, talenti, complessità dei servizi, multidisciplinarietà fanno pensare alle aggregazioni che però in Italia non sono semplici per motivi fiscali, previdenziali, normativi…: “É vero che in Italia la professione non è più una ‘comfort zone’ per la graduale liberalizzazione del mercato, per l’aumento della concorrenza e per l’incremento della gamma di prestazioni richieste legate ad un sempre crescente complessità normativo-giuridica. Da qui la necessità di organizzarsi secondo logiche diverse, simili a quelle aziendali con relativi investimenti. Si è creato quindi un ambiente che potenzialmente è molto favorevole all’ingresso dei giovani che di fatto ci hanno provato. É successo però che per entrare in un mercato come quello di oggi sono necessari organizzazione e risorse ben diverse da quelle di un tempo. E i professionisti che già erano sul mercato, invece di pensare ai giovani come una grande opportunità e condividere con loro un progetto di crescita, hanno approfittato della numerosità della domanda, per sfruttarli. Senza rinnovamento e investimenti, il contesto professionale è diventato di conseguenza poco attraente per il giovane, che va a cercare il proprio futuro in realtà diverse. La soluzione non è univoca, ma l’imprenditorializzazione della professione va assolutamente motivata e incentivata a tutti i livelli, soprattutto partendo dai professionisti stessi. Ci vuole una cultura a tutto campo dell’imprenditorializzazione della professione che si lega anche alla cultura dell’aggregazione, per creare strutture che offrano opportunità di crescita al settore e ai giovani in particolare”.

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