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Università e mondo del lavoro – si abbassa il tasso di occupazione dei neolaureati

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Si abbassa il tasso di occupazione dei neolaureati

L’indagine del Consorzio Almalaurea, che raggruppa 64 università italiane, mostra dati preoccupanti sia per il calo del tasso di occupazione dei neolaureati sia per le immatricolazioni nelle università statali

L’indagine di Almalaurea è tesa a monitorare l’inserimento lavorativo dei giovani dal momento in cui conseguono la laurea fino ai 5 anni successivi. Il rapporto che ne scaturisce è uno strumento utile per valutare l’efficacia del sistema universitario attuale e l’interesse del mondo del lavoro per i neo laureati.
L’ultima indagine ha riguardato circa 400 mila laureati nel 2009 (il 70% di tutti i laureati italiani dell’anno) ad un anno dal conseguimento del titolo per il 90% dei casi e i restanti sono stati intervistati a tre anni dalla laurea e a cinque anni (dunque si tratta di laureati rispettivamente nel 2007 e nel 2005).
Dal XIII Rapporto, appena pubblicato, emerge che il numero di laureati inizia a contrarsi e che questo trend negativo ha preso l’avvio nel 2008. A questo dato, va aggiunto quello emerso dalle indagini della Commissione Europea che denunciano un innalzamento dei livelli di disoccupazione dei giovani (+50% nel 2009).

Tra i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia è quella con la situazione occupazionale più a rischio e, parallelamente, quella che effettua meno interventi per la formazione del proprio capitale umano.
In Italia nella formazione si continua a investire troppo poco, sia dal punto di vista pubblico che da quello privato. Anche la CISL è preoccupata per la situazione e denuncia “il cronico sottodimensionamento degli investimenti, pubblici e privati, in istruzione, ricerca e sviluppo che ci pone agli ultimi posti dell’Unione Europea”.
Secondo Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della confederazione sindacale, “nonostante i giovani universitari siano, nel nostro paese, una quota al di sotto della media europea [e dunque più facilmente assorbibili dal mercato del lavoro – n.d.r.], risultano poco appetibili per il nostro mercato del lavoro con un frequente disallineamento tra le richieste dei mercati del lavoro territoriali e le competenze formate nelle Università”.
Il problema che emerge chiaramente incrociando i dati tra disoccupazione giovanile e abbassamento dei livelli di immatricolazione nelle università, è quello di trovarsi in un’Italia in cui i pochi giovani (si ricorda che nel nostro Paese persiste il basso livello di natalità contrapposto all’altissimo livello di invecchiamento della popolazione) non vengono inseriti né in un percorso di studi né in uno lavorativo, con la probabile conseguenza che vengano marginalizzati dalla società. Nel 2009 questi giovani – di età compresa tra i 15 e i 29 anni – superavano i due milioni, ovvero rappresentavano oltre il 20% dell’intera popolazione giovanile italiana. Quest’anno la situazione è peggiorata. La domanda da porsi è dunque quale futuro si riservi a questi giovani “senza arte né parte”.

 

I neolaureati italiani

Allo scopo di rivelare quale sia il profilo del giovane laureato italiano, sono stati intervistati da Almalaurea anzitutto 110 mila giovani che hanno conseguito la laurea di primo livello e 60 mila giovani che hanno conseguito una laurea specialistica di secondo livello, a un anno di distanza dal conseguimento del titolo. Entrambi i gruppi si sono dunque laureati nel 2009.
In questi casi, si è constatato che la disoccupazione è aumentata del 15% fra i laureati di primo livello e del 17% fra quelli di secondo.

g2Sono sempre meno, rispetto agli anni precedenti, i laureati che trovano un impiego stabile, di qualunque livello essi siano. Aumenta invece il ricorso al lavoro nero.
A trovare un lavoro “fisso” sono il 46% dei laureati di primo livello e il 35% dei possessori di laurea specialistica.
A essere occupati in generale (anche senza contratto) risulta il 70% dei laureati di primo livello che non intendono proseguire il corso di studi.
Sono meno occupati invece (56%) i laureati di alto livello, i quali sono impegnati però in attività diverse, quali ad esempio tirocinii, praticantati, dottorati di ricerca o stage aziendali – anche a pagamento.
Gli stipendi che percepiscono sono però bassi: mediamente di 1.150 euro per i laureati di primo livello e di meno di 1.100 euro per quelli di secondo.
Da questi dati sembra che l’alto livello di specializzazione raggiunto da chi studia di più, non paghi.

Le cose cominciano ad andare meglio però a qualche anno di distanza dall’acquisizione della laurea. Dopo tre anni infatti, il 75% dei laureati con specializzazione è occupato stabilmente e, secondo i dati, i laureati nel 2007 in medicina sono quelli che hanno avuto un maggior sbocco occupazionale.

I guadagni però tendono a calare, se rapportati alla capacità di acquisto tra il 2000 e oggi. Nel 2000 infatti lo stipendio netto mensile di un laureato sfiorava i 1.500 euro, oggi a malapena – come abbiamo visto – arriva al disotto dei 1.100 euro.
Questo trend negativo ha preso l’avvio da diversi anni.

La situazione femminile continua a essere svantaggiata

Hanno meno lavoro rispetto ai loro coetanei e percepiscono stipendi più bassi. Le donne, nonostante siano le più istruite, continuano a essere penalizzate sul mercato del lavoro.
A un anno dalla laurea specialistica lavorano il 59% degli uomini e il 53% delle donne; e il divario di genere aumenta con il trascorrere del tempo. Dopo 5 anni infatti lavorano l’86% degli uomini ma solo il 77% delle donne, le quali peraltro vengono anche pagate molto meno: 1.100 euro contro i 1.500 degli uomini. Una differenza del 30% che non trova una spiegazione logica e plausibile in quanto si tratta di una sperequazione ingiusta e ingiustificabile.
La differenza di genere è maggiore in alcuni comparti: le donne che hanno studiato agraria sono penalizzate rispetto agli uomini (il 17% degli uomini in più rispetto alle donne riesce a trovare lavoro e viene pagato meglio). Solo nel settore chimico-farmaceutico la differenza scende arrivando al solo punto percentuale.
In generale, riescono a trovare un lavoro stabile (con contratto a tempo indeterminato o come lavoratori autonomi) maggiormente gli uomini (45%) che non le donne (35%).
Il lavoro atipico o precario (interinale, a progetto, ecc.) riguarda più le donne (46%) degli uomini (38%) così come riguarda più le donne il lavoro nero.

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