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45° RAPPORTO ANNUALE CENSIS

Rapporto annuale del censis

45° RAPPORTO ANNUALE CENSIS

Il Censis scatta la fotografia della società italiana. Come la crisi economica ci ha cambiati: dal lavoro al sociale tutti i dati che rispecchiano la nostra realtà contemporanea

Il 45° Rapporto annuale sulla situazione sociale italiana prodotto dal CENSIS delinea un’Italia fragile, le cui debolezze vengono pagate dai giovani e dalle famiglie. Disoccupazione, una formazione non sempre all’altezza delle esigenze, un ritardo nella tecnologia e nella sua applicazione alle attività produttive,  sono i tre concetti chiave che definiscono la realtà italiana in ambito lavorativo, formativo, politico e sociale.

«L’Italia è un Paese fragile» queste sono state le parole più ripetute durante la presentazione del 45° Rapporto annuale del CENSIS. Il Centro Studi Investimenti Sociali è un istituto di ricerca socio-economica. I dati pubblicati nel Rapporto sulla situazione del paese 2011, con il patrocino del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, raccontano la fragilità nazionale. La crisi economica, aggravata dal debito pubblico, ha minato la tenuta italiana, già appesantita dai gravi attacchi della speculazione finanziaria. Rispetto agli anni 2008-2009, in cui la crisi è stata più pronunciata, l’Italia, oggi, risente di notevoli problematicità economiche, nel welfare e nei servizi pubblici. La mancanza di una popolazione ad alta scolarità, l’assenza di infrastrutture tecnologiche e la bassa alfabetizzazione informatica, unite a un sistema di politiche sociali e previdenziali  da riformare, rallentano il passo della nazione e ne bloccano gli eventuali sbocchi di crescita. Il sistema economico del nostro Paese, inteso come la bilancia import/export, le dinamiche del mondo aziendale e la tenuta delle imprese, è uno dei tasselli chiave dello studio presentato.

 

L’occupazione

In dieci anni l’occupazione italiana è cresciuta solo del 7,5%. Il PIL, Prodotto Interno Lordo, valore totale dei beni e servizi prodotti in uno Stato, è aumentato solo del 4%, a fronte di una crescita media dell’eurozona più marcata. Questo dato è allarmante perché ci dice quanto la nostra capacità produttiva sia crollata dal 2000 ad oggi. Al di là dei numeri, questo dato ci informa che la crescita italiana è meno forte del previsto e, quindi, rappresenta un rallentamento delle nostre capacità di produrre reddito. La stessa produttività oraria è diminuita negli anni. In parallelo, sono diminuiti del 11,5% gli imprenditori e i dirigenti, segno di una minore vitalità delle aziende. Nell’ultimo lustro, il valore della produzione industriale ha subito un significativo -10%. Di contro, le attività di intermediazione finanziaria e creditizia e i servizi alle imprese sono aumentate del 10,5%. L’Italia genera più valore finanziario rispetto quello economico.
Simbolo di questa tendenza è il caso del terziario. Nel nostro Paese i settori del terziario e del terziario avanzato, quelli cioè che riguardano i servizi, le attività complementari agli altri settori e lo sviluppo della conoscenza, sono stati in grado di generare solo 1,3% del valore aggiunto, a fronte di percentuali molto più alte nel resto d’Europa. La stessa tendenza si è registrata per il valore generato dal commercio e dal turismo (-2,4%). Nel 2010 il 75,7% dei lavoratori irregolari era impegnato nel terzo settore: questo dato è allarmante considerando la scarsa produttività e la strategicità di questo settore. Questa criticità è particolarmente evidente nel caso dell’alta tecnologia e dell’ITC.
Il lavoro a termine registra un aumento nei contratti (+5,5%). A questo dato va aggiunto lo 0,4% di incremento degli occupati nell’ultimo semestre del 2011 per delineare qualche flebile spiraglio di luce in una situazione complessa nel suo insieme. Le donne occupate con contratto full time hanno subito una variazione negativa del -2,2% dal 2007 al 2010. I lavoratori negli ambiti manuali sono stati i più richiesti sul mercato (44,4%), seguiti dai lavoratori in campo edile, addetti alle pulizie, magazzinieri. Le donne vivono ancora molteplici situazioni di diseguaglianza sociale: i salari femminili sono inferiori a quelli maschili, l’occupazione femminile rimane bassa, il diritto alla maternità è una discriminante per l’accesso al mondo del lavoro. Le aziende italiane che producono servizi non hanno sedi all’estero.
L’export dei prodotti made in Italy dona qualche soddisfazione in più: gli incrementi maggiori provengono dalle macchine tessili di Brescia (+54%), la metalmeccanica di Lecco e Vicenza, le macchine per gli imballaggi di Bologna e quelle per la ceramica di Modena e Reggio Emilia. L’evasione fiscale, il lavoro dequalificato, la scarsa capacità di riorganizzazione interna alle aziende, le difficoltà nel concepire investimenti e formazione all’interno dei comparti industriali contribuiscono a rendere arretrato il nostro Paese.

Il mondo della scuola e della formazione

La disoccupazione colpisce e danneggia principalmente i giovani. I cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero i ragazzi appartenenti alla fascia d’età 15-29 che non studiano, non lavorano, non seguono altri percorsi di formazione e non cercano occupazione, detengono il primato europeo nelle statistiche: il 22,1% della forza lavoro giovane italiana non ha un futuro. Il rapporto CENSIS sottolinea come i laureati siano all’ultimo posto nelle classifiche internazionali relative all’occupazione: solo il 76,6% entra nel mondo del lavoro. In Europa il tasso medio occupazionale è del 82,3%. Il mercato del lavoro italiano, inoltre, diminuisce la richiesta di laureati. Le percentuali degli stessi dirigenti in possesso di laurea si attesta al 36,6%, la maggior parte dei quali di sesso di maschile (80%) e di età superiore ai 45 anni (62%). Solo il 75% degli studenti italiani conclude le scuole superiori e una buona percentuale di coloro che si iscrivono all’università abbandona gli studi entro il secondo anno (20%).
La scuola, il mondo della formazione e il mondo del lavoro non comunicano e non lavorano attivamente per generare cambiamento, prospettive e opportunità concrete per i giovani. Manca la percezione della realtà e della professionalità, manca un dialogo costrittivo fra aziende e università, bisogni e culture. Alla « licealizzazione » del Paese, ovvero alla tendenza diffusa nella popolazione italiana di concludere la propria formazione scolastica al termine degli studi superiori, si aggiunge anche una scarsa professionalizzazione della forza lavoro, con i conseguenti danni sul piano economico italiano. L’indagine evidenzia anche la difficoltà nel trovare personale formato e qualificato per svolgere le mansioni tecniche relative alle posizioni di lavoro disponibili.
Infine, solo il 28,2% delle famiglie riesce a risparmiare una quota del proprio reddito mensile e solo il 59% accede a internet da casa. La banda larga ha una penetrazione limitata al 49% e questo significa che l’era digitale, con tutte le sue componenti di cambiamento e potenzialità, non è ancora una prerogativa stabile italiana. Su dieci italiani solo uno si informa e cerca più fonti di conoscenza.

Le proposte

Il 45° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese conclude fornendo alcune indicazioni positive. Il CENSIS sottolinea la necessità di far convergere le conoscenze collettive attraverso la progettazione dello sviluppo fondato sulla realtà italiana odierna, la necessità di una nuova rappresentanza politica e sociale, il disinnesco delle tensioni sociali e l’arricchimento delle relazioni e degli impegni fra le persone. Il nodo centrale dello sviluppo è racchiuso nel 53,4% che delinea le nuove generazioni come risorsa umana su cui contare, educare, formare e qualificare ad alti livelli. Particolare rilievo lo rivestono le nuove tecnologie e la dimensione spirituale della comunità. In conclusione, l’auspicio è la garanzia di un lavoro stabile per i giovani, valorizzati e intesi come elementi cardine del rilancio dell’intero Paese.

Carolina Venturini

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