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L’Italia: tra stereotipi e discriminazioni di genere

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L’Italia: tra stereotipi e discriminazioni di genere

Le donne sono discriminate? Sono sottovalutate? Sono costrette a fare delle rinunce? Si sentono sacrificate? La popolazione italiana risponde di sì. È quanto emerge dal rapporto dell’Istat sulla situazione delle donne e degli uomini italiani rispetto alle discriminazioni

Per la maggioranza dei cittadini italiani la situazione degli uomini nel nostro Paese è migliore di quella delle donne. Appaiono però superati alcuni stereotipi sui tradizionali ruoli di genere (chi deve lavorare, chi deve prendersi cura dei figli, chi deve comandare in casa, ecc.). E quasi tutti ritengono che le donne siano ostacolate nella carriera lavorativa dalle responsabilità familiari.

Niente di nuovo sotto il sole ma almeno qualcosa comincia a cambiare nella mentalità soprattutto dei giovani: non sono migliori leader politici o dirigenti gli uomini delle donne; non è vero che a prendere le decisioni più mportanti debba essere l’uomo; le faccende domestiche e la cura dei figli spetta ad entrambi i genitori (quando lavorano tutti e due). Rispetto a quest’ultimo punto la contraddizione è evidente, se incrociamo il dato con quello della consapevolezza che le donne sono costrette a rinunciare alla carriera lavorativa per potersi occupare dei figli e della casa. Inoltre, ancora la metà della popolazione ritiene che gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche.

Ancora metà della popolazione è poi d’accordo sul fatto che, in condizione di scarsità di lavoro (e dunque in tempi di crisi come questi che stiamo vivendo) i datori di lavoro diano la precedenza agli uomini. Conseguenza di questa logica è che a perdere il lavoro o ad andare in cassa integrazione debbano essere le donne. Anche a trovare lavoro, devono essere più gli uomini disoccupati che le donne disoccupate.

Per quanto riguarda gli stereotipi sui ruoli di genere, bisogna dire che i messaggi lanciati ai giovani anche attraverso le scuole stanno iniziando a colpire nel segno, tanto è vero che essi sono meno diffusi tra i giovani e tra le persone con titolo di studio più elevato. In particolare tali stereotipi sono meno sentiti tra chi abita al Centro-Nord, mentre il Sud è ancora in ritardo, come gli anziani, a questo riguardo. Un esempio? Il 67% degli anziani è convinto che debba essere l’uomo a provvedere alle necessità economiche della famiglia. Mentre la donna deve restare a casa a occuparsi dei figli.

Ma anche se lo stereotipo sui ruoli di genere si modifica nelle opinioni dei giovani, i dati di fatti lo confermano: è infatti oltre il 44% delle donne ad aver fatto qualche rinuncia in ambito lavorativo a causa di impegni e responsabilità familiari o semplicemente per volere dei propri familiari. Contro meno del 20% degli uomini. Fortunatamente, per gli italiani non c’è differenza tra l’istruzione femminile e quella maschile: avere un’istruzione universitaria non è più importante per un ragazzo che per una ragazza. Infatti, è del tutto marginale la quota di quanti (7,6%) lo pensano. Un grande cambiamento di mentalità poiché solo fino a qualche anno fa le famiglie facevano studiare i figli maschi perché “tanto la femmina si sposa” o “la femmina deve badare alla casa”.

Riportiamo ora di seguito uno stralcio dell’analisi realizzata dall’Istat argomento per argomento

Gli uomini stanno meglio delle donne 

Secondo la maggioranza della popolazione, nel nostro Paese la situazione degli uomini è migliore di quella delle donne (57,7%). Ad avere questa opinione sono più le donne (64,6%) che gli uomini (50,5%). Soltanto il 9,4% (12,5% degli uomini e 6,3% delle donne) ritiene invece che la situazione delle donne sia migliore di quella degli uomini. Il restante terzo della popolazione (36,9% degli uomini e 29% delle donne) pensa che la situazione di uomini e donne sia la stessa.

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Con riferimento al mercato del lavoro, le differenze di genere si manifestano in vari ambiti. Secondo oltre la metà della popolazione, le donne vivono una situazione peggiore degli uomini per quanto riguarda la stabilità del posto di lavoro (53,7%), la possibilità di trovare un posto di lavoro adeguato al proprio titolo di studio o alla propria esperienza (53,1%), la possibilità di fare carriera o di ottenere una promozione (51,7%), il guadagno percepito per lo stesso tipo di lavoro (50,1%). 

 

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Anche il titolo di studio determina il superamento di alcuni stereotipi di genere. Tra chi possiede un titolo di studio elevato è più diffusa la percezione di una condizione di svantaggio delle donne nella nostra società. Ritengono, infatti, che la condizione degli uomini sia migliore di quella delle donne il 73,5% dei laureati, a fronte del 49,7% delle persone con licenza elementare. Anche la percezione di un clima discriminatorio nei confronti delle donne è avvertita soprattutto dai laureati: il 53,3% contro il 39,2% di quanti hanno conseguito solo la licenza elementare.

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La donna è vittima di discriminazioni

Il 43,7% della popolazione ritiene che in Italia le donne siano discriminate, cioè trattate meno bene degli uomini. E il 55% ritiene che la situazione sia la stessa rispetto a cinque anni prima, dunque senza purtroppo alcun cambiamento sulla discriminazione delle donne. Secondo oltre un terzo dei cittadini (36%), invece, la situazione è migliorata; per l’8,6% può ritenersi addirittura peggiorata. Il 49,4% delle donne a fronte del 37,9% degli uomini ritiene che le donne siano discriminate. 

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Nelle regioni del Nord è più diffusa la percezione di una condizione di svantaggio delle donne rispetto agli uomini. Il 62,0% circa della popolazione settentrionale ritiene che la condizione degli uomini nella nostra società sia migliore di quella delle donne, contro il 51,4% dei residenti nel Mezzogiorno. Le differenze territoriali in tema di percezione della condizione di uomini e donne nel nostro Paese emergono sia nella popolazione maschile sia in quella femminile. In particolare, è il 57,4% delle residenti nel Mezzogiorno a ritenere peggiore la condizione delle donne a fronte del 69,4% di quelle del Nord-ovest.

Nelle regioni centro-settentrionali la maggioranza della popolazione ritiene che le donne vivano una condizione peggiore degli uomini rispetto al trovare un posto di lavoro adeguato al proprio titolo di studio o alla propria esperienza, alla possibilità di fare carriera o di ottenere una promozione, al guadagno percepito per lo stesso tipo di lavoro e, infine, alla stabilità del posto di lavoro.

Tra i residenti nel Mezzogiorno è, invece, più diffusa l’idea che non ci siano differenze tra uomini e donne. Anche la percezione della discriminazione nei confronti delle donne è più frequente tra i residenti del Centro-Nord del Paese. Circa la metà della popolazione settentrionale ritiene, infatti, che le donne siano molto o abbastanza discriminate (49,4% nel Nord-ovest e 48,4% nel Nord-est), a fronte del 43,6% dei residenti nel Centro e del 36,7% di quelli del Mezzogiorno.

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Superati alcuni stereotipi sui tradizionali ruoli di genere

È l’uomo a dover prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia. Non è d’accordo con questa affermazione il 77,5% della popolazione e “per niente d’accordo” il 55,8% degli intervistati (62,8% delle donne contro il 48,6% degli uomini). Ad esprimere accordo sono più gli uomini che le donne (rispettivamente 28,2% e 17% ).  

L’immagine delle donne e dei ruoli di genere varia anche al mutare della residenza geografica dei cittadini. In particolare, è tra i residenti del Nord che sono meno diffusi gli stereotipi, ed è viceversa più elevata la propensione a riconoscere alle donne pari competenze rispetto agli uomini e la necessità di una maggiore e più equa condivisione dei carichi di lavoro familiare.

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Le differenze territoriali riguardano anche le opinioni sui ruoli di genere nel contesto familiare e, in generale, nella società. Innanzitutto, mentre nel Centro-Nord la maggioranza della popolazione (dal 51,6% del Centro al 56,7% del Nord-est) si dichiara poco o per niente d’accordo con l’affermazione “è soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Nel Mezzogiorno la situazione è ribaltata: il 56,5% è molto o abbastanza d’accordo.

Se si considerano le opinioni in merito all’opportunità che i datori di lavoro diano, in condizioni di scarsità di lavoro, la precedenza agli uomini, la maggioranza della popolazione del Centro-Nord risulta contraria (circa il 57%), contro il 42,9% dei residenti nel Sud. Sono invece d’accordo il 31% dei meridionali a fronte del 20-23% dei residenti nelle altre aree del Paese, a sottolineare quanto la difficoltà di trovare lavoro anche per la componente maschile della popolazione porti a legittimare comportamenti discriminatori nei confronti delle donne. 

 

Le donne dirigenti

Gli uomini non sono dirigenti o leader politici migliori delle donne. Nonostante le loro difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e a ricoprire incarichi di primo piano, la maggioranza della popolazione riconosce alle donne pari competenze rispetto agli uomini e si dice poco o per niente d’accordo con le affermazioni “gli uomini sono dirigenti migliori delle donne” e “in generale gli uomini sono leader politici migliori delle donne” (rispettivamente 80,3% e 79,9%). Sono soprattutto le donne a manifestare disaccordo (85,0% circa a fronte del 75% circa degli uomini). Ciò è confermato dal fatto che due terzi della popolazione (67,1%) sono molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione: “le donne che ricoprono cariche pubbliche dovrebbero essere più numerose rispetto a quante sono oggi”. 

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Meno nutrita, ma comunque maggioritaria, la quota di popolazione (52,8%) secondo la quale “se ci fossero più donne dirigenti, il mondo degli affari e l’economia ne trarrebbero vantaggio”. La percentuale di quanti non sono per niente d’accordo con queste due affermazioni si attesta rispettivamente al 10,8% e al 17,5%.

Su entrambe queste affermazioni, le differenze di genere sono evidenti. Sulla prima si arriva al 75,7% di consensi tra le donne e al 58,3% tra gli uomini. Sulla seconda, invece, il consenso continua a rappresentare la posizione maggioritaria solo tra le donne (63,0%), ma non tra gli uomini (42,4%).

Un consenso molto basso suscita l’affermazione “non è naturale che un uomo abbia un superiore donna”. La grande maggioranza della popolazione (87,1%) è poco o per niente d’accordo. La percentuale di chi si dichiara d’accordo è più elevata tra gli uomini (15,7% contro il 10,2% delle donne).

Tra le persone con più elevato titolo di studio, gli stereotipi trovano terreno meno fertile. Solo il 9,4% dei laureati è d’accordo nel ritenere che sia l’uomo a dover prendere le decisioni più importanti: tale percentuale sale al 38,1% tra le persone con basso titolo di studio.

Inoltre, un titolo di studio elevato accresce la propensione a riconoscere alle donne, anche nella vita pubblica, pari competenze rispetto agli uomini. Sono d’accordo nel ritenere gli uomini leader politici o dirigenti migliori delle donne rispettivamente il 13,2% e il 10,5% dei laureati. Mentre tra le persone con licenza elementare le stesse percentuali salgono in entrambi i casi al 29,6%.

La coppia e le responsabilità familiari 

Per una donna le responsabilità familiari sono un ostacolo all’accesso a posizioni di dirigente. Lo pensa il 67,7% dei cittadini, con minime differenze di genere. È molto d’accordo il 22,8% e abbastanza d’accordo il 44,9%. 

Una madre che lavora può stabilire un buon rapporto con i figli, proprio come una madre che non lavora: oltre la metà della popolazione (65,6%) lo pensa. Sono soprattutto le donne a rivendicare la capacità delle madri che lavorano di stabilire un buon rapporto con i propri figli, al pari di quelle che non lavorano. Esprime accordo rispetto all’affermazione proposta il 71,3% delle donne a fronte del 59,7% degli uomini.

È opinione diffusa, inoltre, che le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia potrebbero migliorare con una maggiore condivisione del carico di lavoro familiare all’interno della coppia. Sull’affermazione “in una coppia in cui entrambi i partner lavorano a tempo pieno, le faccende domestiche dovrebbero essere divise in modo uguale” è molto o abbastanza d’accordo l’87,4% (56,4% molto e 31,0% abbastanza) degli intervistati: 85,1% gli uomini e 89,8% le donne. Si segnala, tra le donne occupate, una maggiore propensione a scegliere la modalità del molto d’accordo: 66,4% a fronte del 57,6% delle non occupate. Ancora più alto il consenso raccolto dall’affermazione “gli uomini dovrebbero partecipare di più alla cura e all’educazione dei propri figli”, con l’89,2% dei pareri positivi (rispettivamente 87,5% degli uomini e 90,8% delle donne). 

In linea con queste opinioni è anche il diffuso consenso sull’affermazione “la vita familiare spesso risente del fatto che gli uomini si concentrano troppo sul loro lavoro”: è molto o abbastanza d’accordo il 71,7% degli intervistati (il 74,7% delle donne contro il 68,7% degli uomini).

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È l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia 

Se si considerano le persone in coppia, la divisione del lavoro domestico tra i due partner è considerata giusta per entrambi dal 76% del totale. Più precisamente dal 76,8% degli uomini e dal 75,3% delle donne.

Il 13,8% ritiene, invece, che la divisione del lavoro domestico sia ingiusta nei propri confronti e il 10,2% nei confronti del partner. Come comprensibile, sono soprattutto le donne a ritenere che la divisione del lavoro domestico all’interno della coppia non sia giusta nei loro confronti: si tratta del 23,9% delle rispondenti in coppia. Simile la quota (20%) di uomini in coppia che considera ingiusta la divisione dei compiti all’interno della famiglia nei confronti delle loro partner.

Se si considerano le coppie in cui entrambi i partner lavorano, la percentuale di quanti ritengono che la divisione del lavoro domestico sia ingiusta nei confronti della donna sale sia tra le donne sia tra gli uomini (rispettivamente al 25,6% e al 21,1%). Resta, tuttavia, ampia l’area di quanti continuano a considerarla equa. Il motivo di questa apparente contraddizione sta nel fatto che nella maggior parte le donne che lavorano lo fanno part-time.

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Tornando a considerare il complesso della popolazione e non solo le persone in coppia, il 18,3% delle donne pensa spesso di avere un carico di lavoro domestico eccessivo (contro il 3,5% degli uomini) e un altro 28,8% lo pensa di tanto in tanto, mentre il 36,8% mai. Come comprensibile è ben più alta la percentuale di uomini che non hanno mai pensato di avere un carico eccessivo di lavoro domestico: si tratta del 78,6%, che arriva all’88,4% se si considerano anche quanti lo pensano raramente. 

Se si disaggregano i dati in base alla condizione lavorativa, per l’effetto cumulo tra lavoro retribuito e familiare, le donne che lavorano percepiscono come eccessivo il carico di lavoro domestico più frequentemente delle non occupate: accade al 50,3% delle occupate (20,3% spesso, 30% di tanto in tanto) a fronte del 44,9% delle non occupate (rispettivamente 17% e 27,9%). 

Del resto, continua a persistere nel nostro Paese lo stereotipo dell’uomo breadwinner, al quale compete il mantenimento della famiglia. Infatti, un intervistato su due (49,7%) esprime accordo con l’affermazione “è soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia”, ma con evidenti differenze di genere (54,8% degli i uomini contro il 44,7% delle donne).

Anche la condizione lavorativa influenza le risposte. Gli occupati (sia uomini che donne) sono meno frequentemente d’accordo con questa affermazione: per esempio, si dichiara d’accordo il 33,7% delle donne occupate contro il 52,2% delle non occupate.  

 

Analogamente, la forte asimmetria nella divisione del lavoro familiare tipica della coppia in Italia viene legittimata dalla persistenza di visioni stereotipate dei ruoli di genere. La metà della popolazione (49,7%), infatti, è molto o abbastanza d’accordo nel ritenere che “gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche”. Anche in questo caso, oltre al genere, la condizione lavorativa è una variabile di lettura importante. Essere inseriti nel mercato del lavoro riduce, soprattutto tra le donne, la propensione a dichiararsi d’accordo: lo è il 39,3% delle lavoratrici a fronte del 51% delle non occupate.

La condizione lavorativa delle donne influenza anche le opinioni dei loro partner. Tra gli uomini in coppia in cui entrambi i partner sono occupati, manifestano accordo il 48,9% a fronte del 57,9% di quanti hanno una partner non occupata. In generale, questa opinione è più diffusa tra gli uomini (53,3%) rispetto alle donne (46,2%).

Solo metà della popolazione è contraria a che in condizione di scarsità di lavoro, i datori diano la precedenza agli uomini. Un rispondente su quattro (25%), dichiarandosi molto o abbastanza d’accordo, esprime un’opinione che dà sostanza a una reale discriminazione nei confronti delle donne.

Rilevante anche la quota di quanti non riescono a dirsi né d’accordo né contrari: si tratta del 22,8% della popolazione. Anche dall’analisi per genere emergono delle differenze: il 57,5% della popolazione femminile è contraria, a fronte del  46,8% degli uomini.

Sull’assunto che debba essere l’uomo a prendere le decisioni importanti riguardanti la famiglia, la maggioranza della popolazione si dichiara ovunque in disaccordo, ma sempre con evidenti differenze geografiche: si va dall’84,2% dei poco o per niente d’accordo nel Nord-est al 68,1% riscontrato nel Mezzogiorno. La posizione estrema del “per niente d’accordo” assorbe da sola la maggioranza dei residenti al Centro-Nord, mentre riguarda soltanto il 41,7% della popolazione del Mezzogiorno.

Nel lavoro donne più svantaggiate degli uomini  

Alle persone che lavorano (o che hanno smesso di farlo) è stato chiesto se e quanto ritenessero di essere (o di essere state) svantaggiate dall’essere uomini o donne nello svolgimento della propria attività lavorativa.

Le risposte variano in relazione al genere, anche se la maggioranza della popolazione (71,5%) ritiene di non essere stata svantaggiata in alcuno degli ambiti considerati. Ha dichiarato di essersi sentito molto o un po’ svantaggiato il 20,6% degli uomini, a fronte del 38,1% delle donne. In particolare, il 14,1% delle donne si è sentita molto svantaggiata, almeno in un ambito, a fronte del 6,1% degli uomini. Inoltre, le donne più spesso degli uomini hanno dichiarato di aver vissuto uno svantaggio in più di un ambito.

In generale, la percentuale di donne svantaggiate è più elevata rispetto a quella degli uomini in quasi tutti gli ambiti sui quali gli intervistati sono stati sollecitati. Più precisamente, tra quanti lavorano o hanno lavorato alle dipendenze, le donne si sentono più spesso svantaggiate, per il fatto di essere donne, soprattutto per quanto concerne la retribuzione: lo afferma il 22% delle donne (molto il 6,1%, un po’ il 15,9%) a fronte del 4,3% degli uomini (molto 1,2% e un po’ 3,1%). Gli svantaggi negli avanzamenti di carriera sono invece percepiti dal 15,4% delle donne (molto il 4,8%, un po’ il 10,6%) a fronte del 3,7% degli uomini (molto 0,5% e un po’ 3,2%). Percentuali simili si rilevano a proposito della stabilità del posto di lavoro: si sente svantaggiato il 15% delle lavoratrici o ex lavoratrici a fronte del 3,2% degli uomini.

Essere donne significa sentirsi svantaggiate più spesso degli uomini anche quando si parla di valutazione dei risultati del lavoro svolto (12,1% contro il 3,8%), oppure di apprezzamento delle capacità professionali (12,8% contro il 4,4%), o ancora di autonomia sul lavoro (11,1 contro il 3,1%). Relativamente meno frequenti gli svantaggi sperimentati nell’accesso o nella fruizione di corsi di formazione: tuttavia, anche in tale ambito lo svantaggio viene sentito dalle donne più spesso che dagli uomini (7,8% contro il 2,3%). Sostanziale parità invece si rileva rispetto agli svantaggi percepiti in termini di carichi di lavoro (eccessivi o insufficienti).

Anche le lavoratrici autonome si sentono più spesso svantaggiate rispetto agli uomini, non solo in termini di guadagno e carriera: rispettivamente il 15,9% e il 14,2% (a fronte del 2,4% e dell’1,5% degli uomini), ma anche nelle relazioni con la clientela (7,9% per le donne e 5,4% per gli uomini) e nelle relazioni con colleghi (11,2% e 8,7%). Tuttavia è il riconoscimento delle competenze professionali la dimensione rispetto alla quale il gap di genere è più evidente: si sente svantaggiato il 16,0% delle donne contro il 2,6% degli uomini.

 

 

Più frequenti tra le donne le rinunce sul lavoro per motivi familiari

Complessivamente, nel nostro Paese sono oltre 14 milioni, pari al 32,2% della popolazione, le persone che nel corso della loro vita, a causa di impegni e responsabilità familiari o semplicemente perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare, oppure hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico lavorativo o, ancora, non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel proprio lavoro (prendendo per esempio congedi con retribuzione parziale, riducendo le ore di lavoro o accettando incarichi di minore importanza).

Rinunciare ad opportunità o adottare comportamenti autolimitanti per ragioni familiari è decisamente più frequente fra le donne (44,1% a fronte del 19,9% degli uomini). Anche le rinunce multiple riguardano le donne più spesso degli uomini. Sono circa 2 milioni e 600 mila (pari all’11,7%) le donne tra 18 e 74 anni che hanno vissuto, nel corso della loro vita, tre o quattro delle esperienze considerate, contro circa 600 mila uomini (2,8% della popolazione maschile nella stessa fascia d’età).

La rinuncia più frequente è quella ad iniziare o a cercare un lavoro (30,9% delle donne a fronte del 12,7% degli uomini). In valori assoluti hanno vissuto questa esperienza 6 milioni 888 mila donne: di queste il 21,7%, pari a circa 1 milione e mezzo, non ha mai fatto ingresso nel mercato del lavoro, neppure per un periodo limitato.

I motivi principali che hanno indotto le donne a rinunciare in un qualche momento della loro vita a entrare nel mercato del lavoro sono nell’ordine: il dover accudire un bambino troppo piccolo (33,8%), il doversi occupare della famiglia (26,6%) e l’aspettare un bambino (13,3%). Per gli uomini che hanno vissuto questa esperienza al primo posto c’è l’obbligo di occuparsi della famiglia (26,2%), seguito dal non volersi trasferire (22,9%) e dall’avere un bambino troppo piccolo (14,5%).

Anche l’esperienza di smettere di lavorare per un periodo o cambiare tipo di lavoro a causa degli impegni e delle responsabilità familiari o perché qualcuno della famiglia non voleva è più diffusa tra le donne: è successo al 26,1% delle lavoratrici a fronte del 6,1% dei lavoratori.

Per le stesse ragioni, il 20,9% delle donne e l’8,6% degli uomini hanno rinunciato nel corso della propria vita lavorativa a un particolare incarico che avrebbero invece voluto accettare. Infine, al 19,8% delle donne e al 6,1% degli uomini che lavorano o hanno lavorato in passato è capitato di prendere congedi con retribuzione parziale, di ridurre le ore di lavoro o accettare un incarico di minore importanza, a causa delle responsabilità familiari o per contrarietà dei familiari.

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