di Mariangela Giusti, Docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca
Al Museo Civico di Brunico in Trentino c’è un’esposizione molto ricca sulla Pop Art: quadri, oggetti, foto, disegni, manifesti provenienti dalla collezione del Centro Studi Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. La mostra (inaugurata lo scorso luglio ma aperta fino al 26 ottobre) documenta esempi di artisti della “popular art” della Gran Bretagna e degli Stati Uniti che, negli anni cinquanta e sessanta, iniziarono a collocare l’universo del quotidiano e i suoi contenuti più consueti al centro della loro arte. Vi sono anche esempi e tematiche di alcuni artisti della Pop Art italiana. Una delle opere presenti è di Giosetta Fioroni (artista importante dell’arte italiana, oggi ottantaduenne) e s’intitola Gli involucri. E’ un’opera del 1966, a matita e smalto su tela.
Certo gli artisti Pop non avevano interesse a essere pedagogici; volevano smitizzare gli oggetti del quotidiano, fare dell’ironia sulla realtà, rappresentandola in modo esaltato. Però quest’opera, a quasi cinquant’anni di distanza, ci rimanda all’oggi, ad alcuni episodi della cronaca che riguardano le donne, e ci induce a fare qualche riflessione, questa volta sì, pedagogica.
Giosetta ha rappresentato una ragazza degli anni sessanta (fra l’altro, ci possiamo chiedere: è una sola o sono tante donne e ragazze?), in movimento, con un’espressione sorridente, “protetta” dai suoi “involucri”: un ampio cappello, un cappotto lungo (secondo la moda dell’epoca), un paio di grandi occhiali neri…Da cosa si doveva proteggere quella ragazza coi suoi “involucri”? Dagli sguardi della gente, forse; dalle critiche di coloro che non apprezzavano la sua ricerca di emancipazione, di indipendenza, di liberta? Forse. E’ comunque un’immagine positiva, che intende trasmettere una certa sicurezza di sé, non irriverente, non sfrontata; pridente,si direbbe. Ho messo a confronto quest’ opera d Giosetta Fioroni con le foto che tutti i giornali hanno riportato di Elisa De Bianchi, trentatreenne autista dell’Atac di Roma, che sabato 20 settembre è stata aggredita per due volte da un gruppo di persone a Corcolle, sulla via Ponentina (fra Roma e Tivoli) mentre era alla guida di un autobus della linea 042. Nelle foto Elisa viene ritratta come una ragazza perplessa, che sta sulle sue, che aspetta di vedere cosa accade. Nelle interviste ai giornali dice apertamente di essere “arrabbiata e spaventata”. Riprendo dal Corriere della Sera del 22 settembre (pag.20) qualche flash di ciò che è accaduto: “Una trentina di immigrati africani che vivono in un centro d’accoglienza nei pressi di Corcolle ha assalito il suo bus della linea 042, forse arrabbiati (da quanto racconta la stessa Elisa) perché aspettavano l’autobus da troppo tempo”. C’è stato un primo assalto al bus, “hanno iniziato a tirare calci alla carrozzeria, alle porte, gridavano di tutto, hanno tirato una bottiglia di birra contro un finestrino mandandolo in frantumi”. La ragazza ha accelerato, è scappata, ha telefonato a un ispettore per avere indicazioni su cosa fare. Ma dopo un tratto di strada di nuovo il gruppo di nuovo le ha bloccato la strada in modo ancora più violento: “spaccavano di tutto, hanno finito di sfondare il finestrino”. La ragazza s’impaurisce, comincia a suonare il clacson del bus ma nessuno dei passanti ha fatto nulla per aiutarla; telefona a un collega, dopo molti minuti i manifestanti cominciano ad arretrare, lei può ripartire e arriva finalmente alla rimessa dell’Atac, dove è stata presa in cura da uno psicologo e portata al pronto soccorso.
Questi i fatti. Sono fatti gravi; lo sarebbero altrettanto se l’autista fosse stato un uomo. Ma indubbiamente ci colpiscono ancora di più perché la protagonista involontaria è, appunto, una autista ragazza. E’ significativo che la presidente del sindacato Cambia-menti M410 degli autisti romani (Michela Quintavalle) (stessa pagina del Corriere) chieda più sicurezza e “cabine blindate” specialmente sulle tratte di periferia. “Involucri” blindati per guidare i bus…Se questo è quello che serve, c’è da aver paura…
E’ indubbio che si sono fatti tanti, tantissimi passi avanti. Però se dagli “Involucri” di Giosetta Fioroni del 1966 si è passati alla necessità di avere “cabine blindate” mentre si guidano degli autobus, forse ci viene da pensare che si è fatto anche qualche passo indietro. O, se non altro, ci viene da pensare che siamo stati forse troppo fermi, a aspettare che le cose, in un turbinio indistinto di cambiamenti epocali, si potessero sistemare da sé.
(L’immagine è un dettaglio dell’opera Gli involucri di Giosetta Fioroni ed è tratta dal sito ufficiale del Museo Civico di Brunico stadtmuseum-bruneck.it)