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TFR: cos’è e perché fa discutere

logo-cna-marche

logo-cna-marcheNelle Marche allarme CNA: la riforma metterebbe seriamente a rischio il 94% del sistema produttivo 

di Catiuscia Ceccarelli

Non è ancora del tutto chiaro il modus operandi del Governo Renzi nella gestione del TFR, in merito ad esempio a quali tipologie di aziende si riferisce, considerando il fatto che il TFR è stato da sempre uno strumento in mano alle imprese per autofinanziarsi; al tipo di tassazione, dato che sul TFR si paga un’aliquota fiscale agevolata. Cosa certa è che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi insiste sul Trattamento di fine Rapporto da far trovare mensilmente nella busta paga dei lavoratori dipendenti, a partire dal prossimo anno. Da verificare eventuali aperture nei confronti dei sindacati, mentre gli industriali hanno già detto il loro “no”.

Ma cos’è il TFR e perché, in questi giorni, è uno degli argomenti più infuocati del dibattito politico, tra Articolo 18 e Job Act?
TFR sta per “trattamento di fine rapporto”, noto più comunemente come liquidazione o buonuscita, ed è la somma data dal datore di lavoro al lavoratore dipendente quando il rapporto lavorativo finisce, qualunque ne sia la ragione: licenziamento individuale e collettivo o dimissioni. È rivolto alle piccole e medie imprese ed è riconosciuto ai lavoratori subordinati ai sensi dell’articolo 2120 del Codice Civile.
Tale trattamento – recita la norma – si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. La somma si basa sostanzialmente su un accantonamento del 6,91% della retribuzione annuale, rivalutata sulla base del tasso fisso dell’1,5%, più una parte variabile relativa all’indice ISTAT dei prezzi al consumo.

Dal 1 gennaio 2007, i lavoratori dipendenti che operano nel settore privato hanno facoltà di scegliere se mantenere il TFR come liquidazione, oppure se versare la somma di denaro in un fondo pensione. A fine rapporto lavorativo, il TFR viene corrisposto in un’unica soluzione, oppure in un numero di rate che varia a seconda dell’importo. Dopo otto anni di servizio lavorativo presso lo stesso datore di lavoro, il dipendente può chiedere, solo per una volta, un’anticipazione fino al 70% dell’importo totale del TFR.

Il governo guidato da Matteo Renzi, a partire dal 1° gennaio 2015, vorrebbe trasferire nella busta paga dei lavoratori dipendenti metà del TFR, lasciando l’altro 50% alle imprese fino alla fine del rapporto. In questo modo aumenterebbe il potere d’acquisto dei lavoratori, stimolo per rilanciare i consumi.
In base ad un calcolo realizzato dagli esperti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, se andasse in porto il provvedimento proposto dal Premier Renzi, entrerebbero nelle buste paga dei dipendenti da 40 a 82 euro al mese, in base alla percentuale di erogazione del TFR.
Confindustria è a favore del Jobs Act, quindi della riforma del mercato del lavoro, ma afferma la propria contrarietà alla quota di trattamento di fine rapporto da fare confluire nello stipendio: “Mette a rischio la liquidità delle PMI”, ha dichiarato il Presidente Giorgio Squinzi, rispondendo con la riduzione del cuneo fiscale come l’unica “soluzione stabile al rilancio della domanda interna”.

Intanto nelle Marche, la CNA fa i conti in tasca delle imprese. Trasferire il 50% del TFR nella busta paga di ogni dipendente, per migliaia di piccole e medie imprese significherebbe la chiusura.
Oltre 388 milioni di euro di cui 210 a carico delle 133.255 piccole imprese sotto i 9 dipendenti e 178 per le 7.351 aziende tra i 10 ed i 49 addetti.
“In un momento di difficoltà finanziaria e di perdurante crisi di liquidità” commentano il presidente CNA Marche Gino Sabatini ed il segretario Otello Gregorini “sarebbe impensabile, per le nostre piccole imprese, far fronte a quest’obbligo. Dopo aver subito, soltanto nell’ultimo anno, una contrazione del credito erogato dal sistema bancario del 5,2%, ora alle piccole imprese marchigiane verrebbe chiesto di erogare alcune centinaia di milioni di euro in anticipazione del TFR. Significherebbe far chiudere migliaia di piccole imprese che stanno resistendo stremate da 6 anni di crisi e difendono in tal modo migliaia di posti di lavoro. Per i lavoratori il Tfr è salario differito, per le imprese un debito a lunga scadenza e l’impossibilità di realizzare anche solo piccoli investimenti”.

“Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi” continuano i rappresentanti della CNA Marche “per sostenere i consumi dei propri dipendenti. Va inoltre sottolineato che il trasferimento di tutto il TFR, o di una parte di esso, nelle buste paga significa azzerare la possibilità, per moltissimi lavoratori, di costruire una previdenza integrativa dignitosa”.

A rischio, quindi il sistema produttivo marchigiano, più di quello di ogni altra regione, perché nelle Marche le imprese sotto i 9 addetti sono il 94% di tutte le imprese iscritte alle Camere di Commercio, e sono proprio loro a subire maggiormente la crisi di liquidità, al punto da rivolgersi ai Confidi per pagare tasse e tredicesime.

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