Ne parliamo con Luisa Cifarelli, Presidente della Società Italiana di Fisica
di Agnese Cecchini, Direttore Editoriale Gruppo Italia Energia
Il 2015 segna molte tappe fondamentali nella storia della fisica, con molte scoperte teoriche e sperimentali nel corso dei secoli che riguardano la luce, a mille anni da quando Ibn al-Haytham scrisse il primo trattato di ottica. Per questo le Nazioni Unite hanno deciso di nominare proprio questo l’anno internazionale della luce e delle tecnologie ad essa correlate.
”Per arrivare ad una iniziativa simile si devono attivare le diverse comunità scientifiche,” ci spiega la professoressa Luisa Cifarelli, dell’Università di Bologna e del CERN: “Questa iniziativa è partita dalla comunità dei fisici europei, più precisamente dalla European Physical Society (EPS), tra l’altro quando avevo il piacere di presiederla, e in seguito sono state consultate altre comunità ad essa affini: quella degli atronomi, dei chimici, dei matematici, degli ingegneri etc. Una volta condiviso, l’argomento è stato sottoposto alle Nazioni Unite che hanno dato il loro consenso nel corso della 68° sessione dell’Assemblea Generale avvenuta nel dicembre 2013. Di fatto questa nomina mette l’etichetta della luce alle iniziative scientifiche di quest’anno”.
“Le applicazioni sono innumerevoli”, evidenzia la Cifarelli: “mi riferisco, come ho detto, non solo alla fisica, all’astronomia o alla chimica, ma anche alla tecnologia, alle comunicazioni, alla medicina, all’energia, all’ambiente, al clima, al cibo, e poi anche alla storia, alla religione, all’arte. Infine anche all’istruzione, allo sviluppo sociale e alla sicurezza. Basti pensare che in alcuni Paesi emergenti, come l’Africa, la malavita e l’analfabetismo sono dovuti anche al fatto che le vie non sono illuminate e sicure per avventurarvisi e non vi è modo per leggere e studiare al buio. Lo stesso cibo, tema di grande interesse quest’anno in Italia per l’Expo, ha nella luce un elemento cardine: senza la fotosintesi non nascerebbero i germogli”.
Di certo il tema si presenta di interesse ancora a molte altre discipline e può rappresentare un’occasione per fare cultura a più livelli. Pensiamo alla fotografia, alla pittura, all’architettura. Insomma c’è da aspettarsi un anno con molte iniziative trasversali.
“Il coordinamento internazionale delle attività lo fa l’ICTP di Trieste (“Abdus Salam” International Centre for Theoretical Physics), mentre per l’Italia come Società Italiana di Fisica, provvediamo a raccogliere le iniziative italiane: è talmente variegata l’offerta, non solo nel campo scientifico, che credo sarà una festa della cultura al completo”.
Parlando di ricerca, lei ha una esperienza consistente nei maggiori centri nazionali e internazionali, come valuta la sinergia aziende/centri di ricerca e soprattutto, siete voi che cercate le aziende o il contrario? Ha assistito alla nascita di start-up da queste esperienze?
Diciamo che l’interazione con le aziende avviene su base reciproca, siamo noi a cercarle se dobbiamo realizzare qualcosa di specifico e lo stesso fanno loro. Non è un processo semplice, ma da interessanti risultati. Occupandomi di ricerca in fisica sperimentale ho assistito a diversi casi in cui da esperimenti e sinergie sono nate realtà ad oggi di considerevole rilevanza. Questo è accaduto anche rispetto alle start up. Ho assistito, ad esempio, al caso di un’attività di ricerca e sviluppo sul solare a concentrazione in collaborazione con il Centro Fermi (Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”), in cui è stata realizzata una start up unendo competenze di fisica su questa materia con la produzione di fari di auto.
Per questo ritengo fondamentale che si faccia anche molta ricerca senza indirizzarla, perché dalle idee possono nascere cose molto innovative.
Lei è una ricercatrice con un curriculum eccezionale, ha fatto, visto, coordinato, presieduto di tutto nel suo settore. Possiamo dire che come donna ha avuto anche la possibilità di realizzarsi come mamma. Come ha fatto e, soprattutto come si fa a diventare come lei?
In realtà chi si deve far carico del ruolo delle donne non sono tanto le organizzazioni femministe, quanto gli uomini. Considerato che noi assicuriamo la prosecuzione della specie è necessario che siano loro a preoccuparsi che noi possiamo riuscire in questo nostro intento. Lo dico perché io stessa non sarei arrivata dove sono arrivata se non fossi stata aiutata da una serie di persone, al maschile, che hanno seguito e tutelato il mio percorso personale.
Sono entrata nel gruppo di ricerca del mio professore, Antonino Zichichi, al CERN, a seguito della mia tesi. Ho iniziato che ero l’unica donna e, dopo di me, ne sono arrivate molte altre grazie anche a questo mio illustre e lungimirante capogruppo che aveva grande considerazione per noi. Già allora era cosa rara. Ho sentito con le mie orecchie in ambienti di ricerca americani dire “no, poi fa i figli e ci molla”… E’ innegabile che per un periodo si interrompono tutte le attività, ma è anche vero che ciò accade per un breve lasso di tempo, soprattutto se c’è un clima di collaborazione lavorativa. Quando ho avuto una figlia, il mio gruppo di ricerca cercava sempre di coordinarsi con me per coniugare le nostre riunioni ed attività compatibilmente con gli orari dell’asilo nido.
Sono stata anche una delle prime persone a cui il CERN installò un terminale di calcolo direttamente a casa. Ricordo ancora quando mi portarono con un furgone il terminale grande come un mobile, erano gli anni ‘80. All’epoca connettersi con un modem al centro di cacolo non era come ora, adesso con la rete wi-fi ed un portatile o un tablet fare tutto questo è infinitamente più semplice.
Certamente una simile possibilità e tanta attenzione me le sono guadagnate sul campo, lavorando seriamente, non approfittando alcunché della mia posizione di donna. Ho sempre messo la mia professionalità al servizio del mio gruppo di lavoro ed in cambio ho ricevuto stima e supporto.
Per crescere è comunque necessario avere delle persone che abbiano fiducia in te e ti valorizzino, è impensabile credere di poter far tutto da soli. A questo va aggiunta la disponibilità a darsi nel lavoro, a spostarsi, a salire in corsa su un aereo o un treno. Insomma se chiediamo elasticità, dobbiamo anche saperla dare.