Diritti

Donne in medicina: continuano le discriminazioni sul posto di lavoro

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Donne medico, assistenti sociali, ricercatrici, scienziate tra aggressioni, molestie sessuali e discriminazioni. Intervista a Sveva Avveduto (direttore Istituto ricerche Cnr): “In Italia mancano corpus di dati aggiornato e codice di condotta. Comunità scientifica si pronunci a riguardo”

di Daria Contrada, giornalista

Discriminazioni di genere sul lavoro. Secondo un’indagine pubblicata sul Journal of American Medical Association, in America quasi una donna medico su tre ha riferito di essere stata vittima di molestie in ambiente di lavoro. E in Italia le cose non vanno meglio: stando all’ultimo rapporto dall’Ordine dei medici della provincia di Roma, quasi una donna su quattro confessa di aver ricevuto offese o offerte sessuali inopportune. E il 4% di aver subìto violenze fisiche. Un dato enorme considerato che, in assoluto, tra le donne italiane la percentuale è pari al 2,1%.

“Gran parte dei risultati dell’indagine” sottolinea il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Mario Falconi “ha fatto emergere un profondo disagio di lavoro e di relazioni che le donne medico subiscono”, con conseguenti ricadute sul comportamento delle vittime: c’è chi cambia modo di fare, chi assume atteggiamenti difensivi o chi si sente costretta a cambiare le proprie abitudini di vita e di lavoro. Per non parlare delle ricadute sulla salute psichica: stress, aggressività, ansia e panico. “Ma quello che è più sconcertante è che le discriminazioni, le vessazioni e le violenze vengono esercitate soprattutto verso le donne più fragili, che non possono ricorrere alla protezione dell’ambiente sociale e familiare”.

Non va meglio in altri settori: almeno cinque episodi di violenza nei confronti di assistenti sociali donne nelle ultime settimane. La denuncia arriva dal presidente del Consiglio nazionale degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi: episodi che “mostrano chiaramente come contro questi professionisti si scarichino tensioni, malumori e aspettative disattese in modalità che sempre più frequentemente prendono la forma di aggressioni fisiche con danni a volte gravi e permanenti”.

Cosa si può fare nel concreto? Ne abbiamo parlato con Sveva Avveduto, direttore dell’Istituto di ricerche su popolazione e politiche sociali del Cnr, che è anche tra i responsabili dell’Associazione Donne e Scienza.

Dott.ssa Avveduto, lo studio americano condotto da Reshma Jagsi, professore associato dell’Università del Michigan, mette in luce un quadro puntuale ma allarmante. Esistono dati di questo tipo riferiti al mercato del lavoro italiano?

I dati pubblicati sul Journal of American Medical Association sono sostanzialmente in linea con quelli emersi da precedenti indagini svolte sull’argomento in altri ambiti della ricerca scientifica, in particolare nell’astrofisica – con un’indagine che ha coinvolto l’università di Berkeley portando alla luce un vero e proprio scandalo che ha poi costretto un famoso luminario alle dimissioni – o nell’area archeologia e geologia, con uno studio sul campo della vita cameratesca degli studenti. Purtroppo in Italia non ci sono corpus di dati di questa portata e l’argomento donne/ricerca/molestie non è stato ancora trattato a fondo. Ma la problematica sussiste e va affrontata.

Come responsabile dell’Associazione Donne e Scienza avete in programma di intervenire sull’argomento?

Certo, abbiamo in mente di fare qualcosa in questo senso, proprio perché ci rendiamo conto che quello che si sa è solo la punta dell’iceberg: il problema è molto sottovalutato, la questione è minimizzata come d’altronde lo è tutta la problematica legata alla violenza di genere. C’è tutta una componente psicologica dietro e molto spesso è difficile parlarne o addirittura uscirne: la paura di non essere credute o derise fa emergere solo pochissimo di un fenomeno così diffuso. L’ambiente scientifico ed accademico non dovrebbe essere toccato, ma purtroppo la scienza non è esente dalle dinamiche dei rapporti di potere, che in questo caso si esplicitano in molestie e a volte vere e proprie aggressioni sessuali.

In che modo si può arginare il fenomeno della discriminazione sul lavoro? E in concreto la vostra Associazione come può contribuire alla causa?

Il primo passo è parlarne, cercare di cambiare l’atteggiamento culturale. Purtroppo però la natura socio-culturale che c’è dietro è difficile da cambiare. L’intera comunità scientifica deve pronunciarsi a riguardo; anche i media hanno ruolo importante in questo senso, dovrebbero farsi portavoce della battaglia e veicolare il messaggio. Cito spesso gli Stati Uniti, lì l’American society ha prodotto un vero e proprio regolamento a riguardo e molte università hanno messo in campo protocolli, politiche attive di sostegno. Oltreoceano c’è la possibilità di contrastare tali violenze, a livello individuale c’è la figura del difensore civico a cui rivolgersi. Insomma, lì la situazione è avanzata: ci sono codici di condotta, come quello dell’Ifn del 2011, con un intero capitolo dedicato alle molestie morali e sessuali. Da noi invece non esiste un vero e proprio codice di condotta; come Associazione però possiamo promuovere un’azione culturale che sia di stimolo al dibattito, portando così l’attenzione sul tema.

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