Fisco e norme Imprenditoria

Recupero credito INPS nei confronti di artigiani e commercianti

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L’Inps ha lanciato una campagna di recupero credito nei confronti di artigiani e commercianti lavoratori autonomi e partecipanti a società tra il 2011 e il 2013. I consulenti del lavoro chiariscono i dubbi in merito

Sulla contribuzione di artigiani e commercianti diversi consulenti del lavoro hanno espresso quesiti cui la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro ha risposto rispetto con alcune precisazioni rispetto a due aspetti: 1) la possibilità di calcolare la contribuzione per artigiani e commercianti anche su partecipazioni in società che non svolgono attività di questa natura (artigianato o commercio); 2) la normativa che permette all’Inps di decurtare le settimane accreditate ai fini pensionistici per gli anni coperti da prescrizione.

Da cosa nascono i quesiti? Anzitutto dalla massiccia campagna di recupero credito nei confronti di artigiani e commercianti che, negli anni dal 2011 al 2013, hanno avuto, oltre all’attività per la quale erano iscritti negli elenchi Inps dei lavoratori autonomi, anche partecipazioni in S.r.l. Cosa ha fatto l’Inps? Incrociando i propri dati con quelli dell’Agenzia delle Entrate, prendendo il dato
del reddito (rigo RN1 del modello Unico società di capitali) dichiarato dalla società e riproporzionandolo con la quota di partecipazione nella società stessa da parte dell’artigiano o commerciante, ha calcolato la quota di mancata contribuzione versata. Ovviamente, in caso di società in perdita, visto che il rigo RN1 non viene compilato, non viene preso in considerazione il successivo rigo RN2 e, quindi, non si genera un credito a favore del socio partecipante. Ciò per gli anni – spiega la Fondazione studi – non ancora coperti da prescrizione.

Per gli anni precedenti, non potendo provvedere al recupero contributivo, l’Inps trasforma il presunto mancato pagamento dei contributi a percentuale, in una decurtazione delle settimane utili ai fini pensionistici. Ciò determina il fatto che, al momento della richiesta della pensione, “i malcapitati artigiani e commercianti si trovano con un periodo non coperto da contribuzione e, quindi, con la necessità di proseguire l’attività oltre il termine preventivato”.

Se poi gli artigiani e commercianti partecipano a una società che nulla ha a che vedere con la propria attività lavorativa (per es. un’azienda industriale), ecco che a loro carico (e dei loro collaboratori familiari) insorge l’obbligo del pagamento di un contributo personale diretto a finanziare certe forme assicurative. In particolare: l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e la maternità.

Artigiani e commercianti operatori nel terziario

Per chi opera nel settore terziario si specifica che l’obbligo di iscrizione alla Gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli esercenti attività commerciali di cui all’art. 34, L. n. 88/1989 sussiste a condizione che:

  • siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano dirette o organizzate prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado;
  • abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri e i rischi relativi alla sua gestione (requisito non richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita né per i soci di società a responsabilità limitata);
  • partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; • siano in possesso delle licenze o autorizzazioni richieste da leggi o regolamenti e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli.

Nel caso in cui l’attività commerciale sia svolta in forma di società, sono iscrivibili all’assicurazione, purché in possesso dei requisiti sopra specificati:

  • i soci di società in nome collettivo e i loro familiari coadiutori, sempreché la partecipazione al lavoro abbia il carattere della prevalenza e della abitualità;
  • i soci di società di fatto e i soci accomandatari di società in accomandita semplice;
  • i soci accomandanti delle società in accomandita semplice che abbiano un rapporto di parentela o di affinità entro il terzo grado con il socio accomandatario e svolgano effettivamente l’attività istituzionale della società in modo abituale e prevalente;
    • i soci di società a responsabilità limitata che partecipino con carattere di abitualità e prevalenza all’attività dell’azienda organizzata e/o diretta prevalentemente con il proprio lavoro.

Il reddito d’impresa di artigiani e commercianti

Il reddito d’impresa rilevante ai fini dell’imposizione dei contributi previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali è stabilito dalla Legge e precisamente:

  • nell’art. 3bis del D.L. n. 384/92, convertito in legge n.438/92, per il quale “…l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n. 233, è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”;
  • art. 1, commi 202, 203, Legge n. 662/1996: (…) “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla Legge 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti (…) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza…”

La Fondazione studi dei consulenti del lavoro spiega che dal quadro giuridico di riferimento appare chiaro che per i socie di società commerciali la condizione essenziale per far scattare l’obbligo contributivo nella gestione Artigiani/Commercianti è quello della “partecipazione personale al lavoro aziendale”; e che per determinare il reddito imponibile il criterio è quello fiscale e si deve far riferimento agli artt. 44 e 54 del DPR n. 917/86, rispettivamente per quanto attiene ai redditi di capitale e d’impresa.

L’interpretazione dell’Inps

L’Inps, con diverse circolari, ha deciso che il reddito imponibile del socio derivi dalla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi si riferiscono. Tutto ciò indipendentemente dal requisito oggettivo sulla natura “terziaria” dell’attività e soggettiva della “prestazione dell’attività lavorativa”.
Questa interpretazione ha comportato l’estensione della base imponibile che, secondo l’Istituto, deve ricomprendere anche gli eventuali redditi di capitale derivanti da partecipazioni societarie.

La Fondazione Studi ha già espresso il suo parere in merito secondo cui la volontà del Legislatore di estendere l’assicurazione IVS anche ai soci di capitale, persegue il nobile scopo di evitare che attraverso lo schermo societario si realizzi di fatto un’omissione contributiva nei confronti di soggetti che lavorano comunque personalmente e con carattere di abitualità. La percezione di utili derivanti da una mera partecipazione (senza lavoro) in società di capitali, non può far scattare il
rapporto giuridico previdenziale.

Così l’Inps, assimilando il reddito di capitale imputabile al socio di Srl, con il reddito di impresa utile ai fini contributivi, fa venir meno la convergenza operata dal legislatore tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale quanto alla definizione proprio della base imponibile.
Ripetiamo che tale disciplina può giustificarsi solo se si considera che l’obbligo assicurativo sorge
nei confronti dei soci di Srl, esclusivamente qualora gli stessi partecipino al lavoro dell’azienda con carattere di abitualità e prevalenza. Diversamente, la sola partecipazione a società di capitali, non accompagnata dalla relativa iscrizione contributiva da parte del socio e senza che emerga lo svolgimento di attività prevalente ed abituale all’interno dell’azienda, non può giustificare il meccanismo di assimilazione previsto dalla circolare suddetta.

La decurtazione delle settimane accreditate ai fini pensionistici

Per quanto riguarda il secondo aspetto posto nei quesiti dei consulenti del lavoro, secondo l’art. 1 e 2 della L. 233/1990 la Gestione artigiani e commercianti accredita ai propri iscritti 12 mesi di anzianità contributiva annua – valida al diritto pensionistico per il conseguimento delle prestazioni -una volta che il titolare della posizione abbia saldato il versamento della contribuzione I.V.S. relativo al cd. minimale annuale. Gli assicurati, qualora il reddito annuo imponibile sia più alto del minimale, sono tenuti al versamento dei contributi I.V.S. sulla quota eccedente secondo le aliquote vigenti (pari per il 2017 a una forbice che è compresa fra il 20,64 e il 24,66%, a seconda dell’età dell’assicurato e del suo inquadramento).
La presenza di reddito eccedente il minimale determina un ampliamento della base imponibile e della correlata contribuzione, in mancanza della quale l’accredito delle 12 mensilità annue dal punto di vista contributivo risulta, secondo l’Inps, non legittimo.

Il termine prescrizionale dei contributi di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria è fissato in 5 anni, ma per la prescrizione sui contributi I.V.S. eccedenti il reddito minimale è stato precisato che i termini decorrono non dal momento della scadenza del versamento, ma dal momento nel quale l’Inps è in grado di conoscere ed esercitare il proprio credito e cioè dal momento nel quale l’amministrazione finanziaria comunica, per i singoli anni, i dati reddituali definitivi.

La fondazione studi dei consulenti del lavoro precisa che pertanto “non risulta di immediata
comprensione quale possa essere il disposto normativo che legittimi la contrazione di periodi assicurativi di per sé prescritti e ormai consolidati nella posizione assicurativa di un iscritto alla Gestione Artigiani e Commercianti”.
E aggiunge che “in caso di una omissione contributiva, peraltro frutto di una incertezza interpretativa e normativa, intervenuti i termini prescrizionali l’assicurato non potrà più versare la contribuzione omessa e contestata dall’Istituto né utilizzare lo strumento – non soggetto ai medesimi
termini prescrizionali – della costituzione di rendita vitalizia. Infatti, come chiarito nella circolare 31/2002 proprio dall’Inps, la stessa ‘può essere riconosciuta esclusivamente a favore dei collaboratori e dei coadiuvanti e non anche a favore del titolare dell’impresa artigiana o commerciale’, risultando inibita a chi, come il titolare dell’impresa, avrebbe dovuto autonomamente provvedere al versamento contributivo.

Infine, si sottolinea che la stessa Inps ha chiarito alla Fondazione dei consulenti del lavoro che sarebbe stato indicato quale riferimento normativo, a proposito della possibilità di agire forzosamente su contributi prescritti contraendone i mesi di accredito ai fini del diritto a pensione, l’art. 12 della Legge n. 613 del 1966, che si riporta di seguito: “I contributi di cui alla presente Legge, indebitamente versati in qualsiasi tempo, non sono computabili agli effetti del diritto alle prestazioni e della misura di esse e, salvo il caso di dolo, sono restituiti, senza interessi, all’assicurato o ai suoi aventi causa”.
Ma attenzione: il quesito riguarda un “indebito accredito contributivo” e non contributi indebitamente versati (ovvero quelli che un assicurato ha erroneamente versato all’Istituto).
E – come specifica la stessa Inps – “i contributi indebiti accertati verso contribuenti autonomi sono sottratti alle norme sulla prescrizione e vengono sempre restituiti a chi li ha effettuati (o suoi aventi causa), senza interessi”.
Dunque l’indebito versamento di contributi provoca l’obbligo, da parte dell’Inps, di restituzione degli stessi senza interessi, con conseguente contrazione dei relativi accrediti ai fini pensionistici.

L’Istituto applica lo stesso meccanismo della contrazione dell’accredito pensionistico anche all’ipotesi in cui accerti un’omissione contributiva, non potendo richiedere il versamento in quanto i termini sono prescritti. Ora – spiega la Fondazione studi – l’ipotesi contemplata dall’art. 12 della Legge n. 613/66 integra la fattispecie della ripetizione dell’indebito di cui all’art. 2033 cc., che comporta appunto la restituzione di quanto pagato illegittimamente. “Nel caso che ricorre, invece, non ci potrà essere alcuna restituzione, perché non v’è stato nessun versamento indebito, e di conseguenza non dovrebbe esserci nessuna sanzione correlata. La fattispecie, infatti, rientra nel caso del mancato accertamento dell’obbligo contributivo che incombe sull’Istituto e che per essere efficace deve necessariamente attivarsi entro i termini prescrizionali imposti dalla legge n. 335/95”.

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