Fisco e norme Imprenditoria

Piccole imprese italiane a rischio di chiusura

Sono 460.000 le piccole imprese italiane a rischio di chiusura a causa dell’epidemia. Lo rivela il 2° Barometro Censis-Cndcec sull’andamento dell’economia

Strage annunciata per le piccole imprese italiane, i commercialisti lanciano l’allarme: basta cattiva burocrazia o moriranno. Già oggi ci sono 370.000 microimprese con fatturato dimezzato e 415.000 in crisi di liquidità.

Piccole imprese italiane in crisi
Il 2° Barometro Censis – Cndcec (Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) sull’andamento dell’economia italiana è drammatico. 460.000 piccole imprese italiane (l’11% del totale delle imprese) sono a rischio di chiusura a causa della pandemia. Fatturano 80 miliardi di euro e impiegano quasi un milione di persone, tutti posti di lavoro a rischio. Un popolo di piccoli imprenditori destinato a sparire tra le conseguenze del lockdown e il gorgo di restrizioni e pratiche burocratiche e imposte e tasse rimandate solo sulla carta, con “ristori” che non arrivano (nemmeno quelli di aprile, figuriamoci quelli di novembre…)  e casse integrazioni mai pagate dallo Stato. Questa strage di piccole imprese italiane è tale perché si tratta di un numero doppio rispetto al totale di quelle chiuse in oltre 10 anni. Tra il 2008 e il 2019 sono state chiuse la metà di quelle che stanno per chiudere adesso.

Il 2° Barometro Censis – Cndcec
Il 2° Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana è realizzato dal Censis in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. La sua rilevazione avviene ascoltando le valutazioni di un ampio campione (4.600) di commercialisti italiani, diffusi su tutto il territorio italiano. Si tratta di fonti affidabili e autorevoli dello stato dell’economia reale. I temi affrontati nel 2° Barometro, che è stato presentato a Roma ieri, 12 novembre 2020, da Francesco Maietta, responsabile dell’Area politiche sociali del Censis, e discusso da Massimo Miani, presidente del Cndcec, Aldo Bonomi, direttore dell’AAster, e Roberto Weber, presidente dell’Istituto Ixè, sono:
– l’economia italiana nell’emergenza, in particolare nella seconda ondata;
– la situazione delle imprese a seguito di prima ondata, parziale riapertura e avvio della seconda ondata, con un focus sulle microimprese con fatturato annuo fino ad un massimo di 350.000 euro;
– un focus sulla situazione economica delle famiglie italiane;
– la valutazione dei provvedimenti contenuti nei Decreti Cura Italia, Liquidità, Rilancio, Agosto, adottati a sostegno di imprese e famiglie nella prima fase della emergenza sanitaria;
– le aspettative sull’evoluzione del contesto economico più generale.

Crollo dei fatturati e crisi di liquidità delle piccole imprese italiane
Sono considerate micro e piccole le imprese con meno di 10 addetti e con un fatturato sotto ai 500.000 euro. Il 29% dei commercialisti coinvolti nell’indagine rileva che più della metà delle loro microimprese clienti ha almeno dimezzato il proprio fatturato (il dato scende al 21,2% nel caso dei commercialisti che si occupano di imprese medio-grandi). Sono quindi 370.000 le piccole imprese che hanno subito un crollo di più della metà dei ricavi. Inoltre, il 32,5% dei commercialisti registra in più della metà della clientela una perdita di liquidità superiore al 50% nell’ultimo anno (il dato scende al 26,2% tra i commercialisti che seguono imprese di maggiori dimensioni). Sono cioè 415.000 le piccole imprese che oggi dispongono di meno della metà della liquidità di un anno fa.

Le misure pubbliche per affrontare l’emergenza
Gli interventi pubblici durante l’emergenza ottengono una valutazione tra luci e ombre da parte dei commercialisti. Il sostegno alle imprese (moratoria sui mutui, garanzie statali sui prestiti) viene giudicato positivamente dal 45,2%, in modo negativo dal 34%. Gli aiuti al lavoro (divieto di licenziamento, ricorso alla Cassa integrazione in deroga) sono promossi dal 43,4%, bocciati dal 34,9%. Il sostegno alle famiglie (bonus babysitter, congedi parentali, Reddito di emergenza) è visto con favore dal 36,6%, mentre il 37,5% ne dà un giudizio negativo. La sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per le imprese più penalizzate è valutato bene dal 33,3%, male dal 46,9%. Per i commercialisti lo sforzo statuale nel supportare gli operatori economici e i lavoratori durante il blocco di mercati e imprese va apprezzato, ma non basta.

Dai commercialisti un’opinione “diplomatica”
Donna in Affari ritiene che i commercialisti abbiano espresso un’opinione “diplomatica”. Il calo di fatturato così evidente e la grave crisi di liquidità correlata, insieme alle promesse di vari tipi di “ristoro” che non sono state ancora mantenute, non possono che fare esprimere un’opinione negativa quanto meno al 90%. Nelle dichiarazioni del Governo sembra che si facciano grandi sforzi per venire incontro alle esigenze delle piccole imprese italiane, martoriate da queste decisioni di lockdown e di limitazione al numero di clienti ed utenti, ma se si leggono i decreti presidenziali e ministeriali e si confrontano con le successive pratiche dirigenziali dei vari enti preposti ad attuarli, ci si accorge che nessuno dei ristori previsti arriva nei tempi previsti e neppure – in tanti casi – arriva del tutto. Fermi nelle pastoie decisionali dei burocrati che bloccano tutto. Così ciò che era nato nelle intenzioni per dare un ristoro, nella realtà dei fatti si trasforma in una vana speranza, in una nuvola di fumo, spesso nella costrizione a pagare ulteriori spese proprio nei confronti di questo Stato che si trasforma in nemico. Questo atteggiamento dei burocrati, tutti in felice smart working, nel quale non possono essere disturbati (“non c’è nessuno, sono tutti in smart working – rispondono i due centralinisti rimasti, quando non c’è la segreteria telefonica – qui ci siamo solo noi. Inutile telefonare. Alle email non rispondono, inutile inviarle, tanto non le legge nessuno.”) non permette neppure di avere una possibilità di chiarire i motivi per cui chi è stato costretto a chiudere da marzo a oggi ancora non ha ricevuto neppure quei famosi 600 o 1.000 euro mentre altri – pochi, forse più simpatici ai computer che gestiscono le istanze – hanno già ricevuto anche i 2.000 euro del “Decreto Ristori 2”.

Tasse da pagare e bonus mai arrivati. Piccole imprese italiane sull’orlo del fallimento
Sono tantissime le categorie forzate a stare chiuse e che non hanno ancora ottenuto un ristoro da marzo ma intanto si continua a dichiarare che sono usciti miliardi e miliardi diretti alle piccole imprese italiane. Le tasse? Sono da pagare. I rinvii? In realtà non ci sono stati per la stragrande maggioranza dei casi. I bonus? Sono ancora fermi perché l’agenzia delle entrate li tratta come se fossero dei bandi – e non dei bonus per sanare una situazione di emergenza – e pertanto ha inserito una serie di requisiti e meccanismi punitivi per cui chi era già in difficoltà non li ha ancora ricevuti. In questa situazione vergognosa i commercialisti però si ritengono mediamente soddisfatti. Non crediamo sia altrettanto per i loro clienti, a parte qualche eccezione: può darsi infatti che siano stati intervistati molti commercialisti che hanno come clienti i negozi di generi alimentari, che da questa crisi sono usciti notevolmente rinvigoriti, economicamente parlando.

Cosa migliorerebbero i commercialisti
Per evitare la moria di piccole imprese, secondo i commercialisti bisogna intervenire qui e ora agendo su quello che non ha funzionato. Per noi quasi tutto. Il 79,9% dei commercialisti auspica più chiarezza nei testi normativi, il 76,7% chiede tempestività nei chiarimenti sulle prassi amministrative, il 70,7% molti meno adempimenti, il 67,2% una migliore distribuzione delle risorse pubbliche tra i beneficiari, il 61,1% una più efficace combinazione delle misure adottate, il 58,4% un taglio netto dei tempi necessari per l’effettiva erogazione degli aiuti economici, il 49,9% ritiene necessari stanziamenti economici più consistenti.

La burocrazia che uccide
Se gli strumenti di sussidio per i diversi beneficiari vengono promossi dai commercialisti, viene però bocciata l’effettiva applicazione delle misure a causa dei detriti burocratici che rallentano tutto. E su questo concordiamo, come sopra. Occorre snellire sia gli adempimenti burocratici sia i passaggi formali per rendere gli interventi più efficaci: questo chiedono i commercialisti, convinti che le imprese vadano aiutate a resistere oggi, per non morire e per ripartire domani.

Le idee dei commercialisti
Per i commercialisti è in corso uno “smottamento” continuato dell’economia. Per il 41% bisogna essere pronti a tutto perché tutto può succedere. Il 27,6% sottolinea l’ansia pervasiva provocata dalla nuova ondata di contagi. Per il 40,7% dei commercialisti ci vorrà molto tempo per uscire dalla crisi, il 26,9% ritiene che occorra adattarsi subito alle nuove condizioni o non ci sarà crescita, il 24,2% pensa che molti settori vitali siano ancora in difficoltà. Ciò significa che la maggioranza dei commercialisti intervistati la pensa diversamente.

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