Diritti Lavoro

Telelavoro e smartworking in stallo

Fermata la crescita di telelavoro e smartworking, solo il 14 percento dei lavoratori che potrebbero usufruirne lo utilizza

“Un’occasione non pienamente sfruttata, almeno per il momento” afferma il presidente dell’Inapp (l’istituto che analizza le politiche pubbliche) Sebastiano Fadda commentando le ultime analisi su telelavoro e smartworking presentate il 26 gennaio 2023 nel corso della giornata di studi “Lavoro agile, definizioni ed esperienze di misurazione” tenutasi a Roma presso l’auditorium dell’Istituto.

Il lavoro da remoto non decolla
In Italia è appena il 14,9% degli occupati che svolge parte dell’attività da remoto, ma potrebbe essere quasi il 40%, considerando la potenziale telelavorabilità. Pertanto, la quota che effettivamente si traduce in lavoro a distanza è minoritaria nonostante il boom che si è avuto nel 2020, in piena pandemia, quando si è passati dal 4,8% dell’anno precedente al 13,7%. I dati analizzati dall’Inapp indicano che la quota del lavoro da remoto (telelavoro e smartworking) varia dal 25% per le professioni intellettuali o esecutive al 2% di quelle non qualificate. “Dietro questa distribuzione” sottolinea Fadda “vi è sicuramente il differente grado di fattibilità del lavoro da remoto nelle diverse professioni, ma anche la differente capacità manageriale di adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro facendo uso delle nuove tecnologie digitali”.

Cosa blocca l’utilizzo di telelavoro e smartworking
Potenzialmente potrebbero optare per il lavoro agile almeno quattro dipendenti su dieci eppure dai dati “non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese: è come se durante la pandemia avessimo vissuto in ‘una grande bolla’ e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza” continua Fadda. Ma allora cosa blocca il ricorso a questa forma lavorativa? In base alle analisi Inapp un primo altolà viene dai datori di lavoro nel settore privato extra-agricolo: per le imprese fino a 5 dipendenti l’84% dei lavoratori svolge mansioni che non possono essere eseguite a distanza, ma al crescere della dimensione dell’azienda si riduce tale quota (il 56,4% fra quelle medie, 50-249 addetti e 34,2% fra le realtà con oltre 250 addetti). Nel 2021 solo il 13,3% delle imprese intervistate ha utilizzato tale modalità. Ma anche dal punto di vista dei dipendenti c’è una sorta di blocco mentale nel richiedere di usare la formula telelavoro e smartworking. La percezione di alcuni vantaggi e svantaggi del telelavoro fa emergere anche una differenza di genere con gli uomini, che apprezzano in particolare la maggior autonomia, e le donne, che mostrano invece maggiore preoccupazione riguardo alle prospettive di carriera (50,9%), ai diritti e alle tutele sindacali (52,8%) e al maggiore controllo da parte del datore di lavoro (53,3%).

Smartworking e telelavoro, le differenze tra Italia ed esteri
Nel 2019 solo il 14,6% degli occupati in Europa (UE-27) lavorava abitualmente da casa e lo scenario era piuttosto eterogeneo, con i Paesi Bassi in cui tale modalità raggiungeva il 37,2%. Con il dilagare del Covid, alcuni Paesi che già nel 2019 mostravano valori superiori alla media UE hanno intrapreso un trend di crescita nei due anni successivi (Irlanda, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Danimarca, Francia, Estonia, Malta e Portogallo). L’Italia, che nel 2019 aveva percentuali al di sotto della media europea, con l’emergenza sanitaria ha raddoppiato tali valori, ma nel 2021 il tasso di crescita del ricorso al lavoro agile è decisamente rallentato (4,8% nel 2019, 13,7% nel 2020, 14,9% nel 2021 secondo i dati EU-LFS, con valori ancora più bassi tra i dipendenti: dall’1,7% del 2019 al 12,1 del 2020 e al 13,8 del 2021).

Chi svolge la propria attività in telelavoro e smartworking
A svolgere un lavoro che si può fare anche al di fuori del luogo di impiego sono soprattutto i laureati, i dipendenti delle imprese di grandi dimensioni, gli occupati nei servizi e i dipendenti pubblici. Incidenze leggermente superiori alla media delle professioni “telelavorabili” si rilevano tra le donne, i residenti nel Nord Ovest e nel Centro e le persone con diploma. In ogni caso “svolgere una professione teoricamente telelavorabile” ha dichiarato ancora Sebastiano Fadda “è una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare lavoro da remoto”.

I dati dell’indagine sono stati discussi durante il workshop da Michael Frosch (ILO), Leonello Tronti (Università degli Studi Roma Tre), Patrizia Cinti (Pontificia Università Antonianum di Roma), Fiorella Crespi (Politecnico di Milano), Alessia Sabbatini (Istat), Daniele Di Nunzio (Fondazione di Vittorio), Francesca della Ratta, Rosita Zucaro e Tiziana Canal (Inapp), Santo Darko Grillo (Direttore Generale dell’Inapp).

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