Lavoro

Lavorare nella Sanità

donna medico - lavoro femminile in sanità

Il Rapporto Oasi del Cergas di SDA Bocconi con un focus sul lavoro femminile in ambito sanitario

Il Centro di ricerche sulla Gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) della SDA Bocconi, School of management dell’Università Bocconi di Milano, il 29 novembre 2019 ha presentato il Rapporto Oasi 2019, l’Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano. I ricercatori, coordinati da Francesco Longo e Alberto Ricci, hanno analizzato dal punto di vista economico finanziario e lavorativo il nostro sistema sanitario nazionale notando che, con il raggiungimento di 149 milioni di euro di disavanzo su 119,1 miliardi di euro di spesa, ha ormai raggiunto la stabilità economico-finanziaria, avendo “messo in sicurezza” i propri conti. Urge però – spiegano gli studiosi – una ridefinizione della propria mission.

L’analisi economico-finanziaria

Nonostante lo 0,1% di disavanzo, il nostro SSN ha difficoltà a tenere il passo con il più ampio settore sanitario, considerando che “l’espansione e diversificazione della sanità si scontra con la contrazione delle fonti di finanziamento, che produce un tasso di copertura del SSN sulla spesa sanitaria che è già oggi del 74% e probabilmente è destinato a diminuire”.

La spesa sanitaria pubblica pro-capite è pari a 1.900 euro, ovvero l’80% di quella inglese, il 66% di quella francese e il 55% di quella tedesca – viene chiarito nel Rapporto Oasi. Con una delle più alte aspettative di vita al mondo (83 anni), accompagnata da uno dei più bassi indici di natalità (1,32 figli) e dalla previsione Istat di un rapporto di 1 a 2 tra pensionati e popolazione in età di lavoro entro il 2040, il SSN dunque non sembra in grado di tenere il passo con la crescita dei bisogni.

Anche in termini di spesa, tra il 2012 e il 2018, il privato surclassa il pubblico, con una crescita del 16% rispetto a un Ssn che riesce appena a coprire la crescita dell’inflazione. La componente principale della spesa privata, con 35,7 miliardi, rimane quella out of pocket delle famiglie, ma quella in maggiore crescita (+31% dal 2012, fino ai 4,2 miliardi del 2018) è quella intermediata (per esempio, da assicurazioni private).

In un tale contesto, afferma Francesco Longo, “è cruciale chiarire la missione del SSN. La scelta è tra una focalizzazione sui soli servizi finanziati dal settore pubblico; una regia della filiera produttiva che preveda anche la regolazione del mercato a pagamento e il governo dell’integrazione tra i due ambiti; o un’interpretazione olistica, orientata alla tutela della salute, con l’ambizione di influenzare l’intero settore e gli stili di vita”.

L’occupazione nel settore sanitario

Tra il 2000 e il 2018 gli occupati nella sanità sono aumentati del 18%, ovvero di 1,4 milioni; nello stesso periodo, i residenti sono aumentati del 6% e l’occupazione in generale del 10%. Alla crescita occupazionale del settore sanitario ha contribuito prevalentemente il comparto privato.
Nel 2018 – per la prima volta dal 2009 – è tornato a crescere (di 384 unità) il numero di medici del Servizio Sanitario Nazionale.

Il lavoro femminile in Sanità

Uno degli approfondimenti del Rapporto riguarda i percorsi di carriera femminili e denuncia l’esistenza di un soffitto di vetro anche in sanità.

Le donne rappresentano complessivamente il 44% dei medici, ma solo il 16% dei direttori di unità operativa, con variazioni importanti su base regionale (in testa l’Emilia Romagna con il 24%, in coda il Veneto con il 10%) e tra le diverse discipline (69% dei direttori di farmacia ospedaliera, 10-20% di direttori di discipline ospedaliere, meno del 10% in quelle chirurgiche e addirittura zero in ortopedia e cardiochirurgia).
Anche nei ruoli manageriali la differenza di genere si vede bene: pur se le donne costituiscono il 26% degli idonei a ricoprire il ruolo di direttore generale (Dg), solo il 17% dei Dg in carica è donna.

Dall’analisi delle interviste a un campione di donne Dg, emerge una certa diffidenza verso gli strumenti di discriminazione positiva, come le quote rosa, ma anche la necessità di rendere le aziende sanitarie più women-friendly nelle politiche di conciliazione e nella cultura organizzativa.

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