Lavoro Pensioni

Omesso versamento previdenza complementare

L’Ispettorato nazionale del lavoro ha stabilito che il datore di lavoro che non versi la quota ai fondi di previdenza complementare commette un illecito e si può agire in giudizio

 

Il parere n. 1.436 a firma Danilo Papa, direttore centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, in merito all’omissione di versamenti ai fondi di previdenza complementare da parte di un datore, ha gettato le basi per un intervento anche legale nei confronti dei datori che commettono questo illecito. Le considerazioni dell’Ispettorato sono condivise con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e chiariscono che vigono le stesse responsabilità in capo al datore di lavoro, anche se la previdenza complementare è volta ad integrare (come previdenza privata) quella obbligatoria o di base. I fondi pensione privati raccolgono infatti il risparmio degli iscritti e lo valorizzano attraverso dei rendimenti ottenuti sui mercati finanziari e la giurisprudenza ha chiarito la sostanziale differenza tra previdenza obbligatoria (ex lege) e quella integrativa (ex contractu) individuandola “nel carattere generale, necessario e non eludibile delle tutele del primo tipo, a fronte della natura eventuale delle garanzie del secondo, che sono la fonte di prestazioni aggiuntive rivolte a vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari – e in relazione alla quale non opera il principio dell’automatismo delle prestazioni” (Cass. Civ., sez. un., sent. n. 4684/2015).

Inadempimento contrattuale del datore di lavoro
La natura privatistica della previdenza integrativa emerge dal meccanismo di adesione del lavoratore, che è libero e volontario, e dalle modalità di alimentazione del fondo, al quale contribuiscono i destinatari della prestazione e il datore di lavoro. Di conseguenza, l’adesione del lavoratore alla forma pensionistica complementare determina l’insorgenza, per il datore di lavoro, dell’obbligo contributivo a favore del medesimo fondo.
L’ipotesi del mancato versamento di parte dei contributi previsti dalle fonti istitutive del fondo prescelto è un inadempimento contrattuale del datore di lavoro che “dopo aver sottoscritto la domanda del lavoratore di adesione ad un Fondo di previdenza complementare ed aver effettuato le relative trattenute sulla retribuzione dovuta al lavoratore stesso, ometta di versare dette somme in favore del fondo” (Trib. Roma, sez. lavoro, sent. n. 10489/2016). Ne consegue che il lavoratore potrà agire innanzi al giudice civile per la tutela della propria posizione contrattuale.

Previdenza complementare, non retribuzione ma contribuzione obbligatoria
Sotto il profilo ispettivo – si legge nella nota dell’Ispettorato – assume rilevanza la decisione delle Sezioni Unite del 9 marzo 2015, n. 4684 che ha definitivamente escluso la natura retributiva del contributo integrativo posto a carico del datore di lavoro riconoscendone, invece, la natura esclusivamente previdenziale. In particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che “l’obbligo del datore di lavoro di effettuare tali versamenti nasce da un ulteriore rapporto contrattuale, distinto dal rapporto di lavoro subordinato”. Non modifica i diritti e gli obblighi nascenti da rapporti di lavoro e non incide sulle modalità di erogazione delle indennità di fine rapporto. In sostanza il beneficio derivante al lavoratore dal rapporto di previdenza integrativa non è costituito dai versamenti effettuati dal datore di lavoro, ma dalla pensione che, anche sulla base di tali versamenti, lo stesso potrà percepire.
Se è vero che il rapporto di previdenza integrativa ha come necessario presupposto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è anche vero che l’obbligo del versamento del contributo a carico del datore di lavoro non si pone nei confronti del lavoratore bensì nei confronti del fondo che è poi onerato della erogazione della relativa prestazione”.

Il creditore dell’obbligazione contributiva non è il lavoratore ma il fondo di previdenza complementare, poi tenuto all’erogazione in suo favore della prestazione previdenziale. Pertanto, secondo il parere dell’Ispettorato, in tali casi si configura una violazione della L. 296/2006 e, laddove il datore di lavoro non abbia effettuato il versamento dei contributi al fondo di previdenza complementare e abbia comunque ridotto il proprio onere contributivo omettendo i versamenti dovuti al Fondo di garanzia, si configura una violazione di Legge che legittima il recupero degli sgravi contributivi eventualmente fruiti in applicazione dell’art. 1, comma 1.175, della suddetta Legge.

L’approfondimento della Fondazione studi Consulenti del lavoro
Con l’approfondimento del 3 marzo la Fondazione studi Consulenti del Lavoro esamina le disposizioni dell’Ispettorato, richiamando la normativa di riferimento e soffermandosi, in particolare, sulle conseguenze per la regolarità contributiva in caso di omesso versamento della quota ai fondi complementari.

L’entità della contribuzione ai Fondi pensione complementare
Ferma restando la facoltà per tutti i lavoratori di determinare liberamente l’entità della contribuzione a proprio carico, relativamente ai lavoratori dipendenti che aderiscono ai fondi, le modalità e la misura minima della contribuzione a carico del datore di lavoro e del lavoratore stesso possono essere fissate dai contratti e dagli accordi collettivi, anche aziendali. Gli accordi fra soli lavoratori determinano il livello minimo della contribuzione a carico degli stessi.

Il contributo da destinare alle forme pensionistiche complementari è stabilito in cifra fissa oppure:

  • per i lavoratori dipendenti, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR o con riferimento ad elementi particolari della retribuzione stessa;
  • per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, in percentuale del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF, relativo al periodo d’imposta precedente;
  • per i soci lavoratori di società cooperative, secondo la tipologia del rapporto di lavoro, in percentuale della retribuzione assunta per il calcolo del TFR ovvero degli imponibili considerati ai fini dei contributi previdenziali obbligatori ovvero in percentuale del reddito di lavoro autonomo dichiarato ai fini IRPEF relativo al periodo d’imposta precedente.

In giudizio civile
L’Ispettorato ha evidenziato come l’ipotesi del mancato versamento di parte dei contributi previsti dalle fonti istitutive del fondo prescelto possa integrare, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, un inadempimento contrattuale del datore di lavoro che “dopo aver sottoscritto la domanda del lavoratore di adesione ad un Fondo di previdenza complementare ed aver effettuato le relative trattenute sulla retribuzione dovuta al lavoratore stesso, ometta di versare dette somme in favore del fondo”. Ne consegue, pertanto, che il lavoratore possa agire innanzi al giudice civile per la tutela della propria posizione contrattuale.

Conseguenze sulla regolarità contributiva
Secondo la nota dell’Ispettorato, laddove il datore di lavoro non abbia effettuato il versamento dei contributi al fondo di previdenza complementare e abbia comunque ridotto il proprio onere contributivo omettendo i versamenti dovuti al Fondo di garanzia, si configura una violazione di legge che legittima il recupero degli sgravi contributivi eventualmente fruiti (in quanto la Legge prevede, in favore delle aziende che dal 1° gennaio 2007 devono trasferire il TFR nelle forme pensionistiche complementari, misure compensative per contenere gli effetti finanziari derivanti dallo smobilizzo del TFR).

Secondo gli analisti della Fondazione studi Consulenti del lavoro tale conclusione, condivisibile, non è ascrivibile, come evidenziato dalla nota, soltanto alla circostanza che l’omissione descritta rappresenti una generica violazione “degli altri obblighi di legge” quanto, piuttosto, proprio in virtù delle premesse introdotte dalla nota in esame: che l’omissione evidenziata costituisca una irregolarità contributiva tout court, perché implica una riduzione della quota versata al Fondo di garanzia, in virtù di un requisito (l’adempimento nei confronti del fondo complementare per via dell’obbligo contrattuale), in realtà insussistente. Da ciò l’insorgenza della necessità di recuperare tale mancato versamento, non attraverso la diffida accertativa prevista dall’art.12 del D. Lgs. 124/2004 per l’insuscettibilità dell’adozione di questo strumento, ma per via della natura del credito.

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