Made in Italy

Il vino conquista il mondo andando oltre la qualità

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Questo è quanto emerso durante un incontro che si è tenuto di recente a Milano nel quale sono state esposti le tendenze rilevate dal Wine Management Lab di SDA Bocconi. I produttori italiani vantano tecniche e competenze sempre più evolute, ma non sono in grado di competere con i colleghi internazionali sul fronte marketing e comunicazione

di Cristina Mazzani, giornalista

Ricchezza nell’offerta, mille tradizioni di molteplici territori: in Italia il vino ha mille sfaccettature. Questo rappresenta un pregio, non annoia mai, ma anche un difetto: come riuscire a affermare sullo scenario internazionale un prodotto che si esprime in tanti modi così diversi?

Si tratta di una delle principali tematiche riprese in occasione del convegno “La leadership del vino italiano come ambasciatore del made in Italy: possibilità o realtà?” organizzato a Milano, durante il quale sono stati presentati alcuni spunti riguardo l’attività di ricerca del Wine Management Lab, anche con il supporto di ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) che, con il progetto “Il posizionamento del vino italiano nei principali mercati esteri”, ha sondato i pareri degli operatori professionali internazionali.

“Non possiamo pensare” ha affermato provocatoriamente Sandro Boscaini, presidente Federvini “che i 4.200 produttori di vino italiani possano seguire questo tipi di dibattiti, sono concentrati a produrre e tramandare la loro cultura attraverso un impegno costante sul prodotto…”
D’altra parte, è emerso nelle indagini, il vino è un protagonista del made in Italy, ma pur riuscendo a differenziarsi per la propria qualità, rischia di passare inosservato o di essere penalizzato per quanto riguarda il “go-to-market” e le strategie comunicative e di marketing. È dunque indubbio che il comparto è sollecitato dal mercato stesso a sviluppare modelli di business specifici per veicolare correttamente sul mercato il prodotto vino.

Nel corso dell’evento sono stati presentati i dati del Wine Management Lab, nato una decina di anni fa, come ha raccontato Andrea Rea che si occupa di questo laboratorio per SDA Bocconi. Collabora con vari attori appartenenti alla filiera del vino e si pone l’obiettivo di dare supporto alla costruzione di quella leadership che, ben espressa dal punto di vista della qualità, si deve ancora affermare sul fronte dei volumi, offrendo competenze di gestione aziendale. “Abbiamo lanciato un progetto triennale che si focalizza su tre tematiche” ha spiegato Rea. “Oltre che sulla strategia d’offerta, sulla percezione del vino in Italia e all’estero, sul monitoraggio dei consumatori, sulle loro percezioni e scelte d’acquisto. Il fine è offrire i benchmark per poter individuare le più corrette azioni da compiere sul fronte dell’assortimento, dei prezzi e dei servizi agli operatori del canale”.

I trend italiani e internazionali

“La prima ricerca, stata svolta nel 2004″ hanno ricordato Roberta De Sanctis e Armando Cirrincione, Wine Management Lab SDA Bocconi “evidenziava che il 60% delle aziende vitivinicole erano realtà agricole, ma già a partire da allora iniziavano a essere dirette da profili di altro tipo, più manageriali. Nel 2009 erano tante le imprese in cui si optava per adottare strategie di differenziazione rispetto ai competitor nazionali, lavorando su fattori critici quali il prezzo, prima di tutto, e poi i canali di distribuzione e la comunicazione, e internazionali, facendo leva su prezzo, innovazione del packaging e comunicazione attraverso la partecipazione a fiere e l’attenzione agli opinion leader. In questi anni abbiamo visto un fiorire di investimenti in varie direzioni: da quelli tesi a intensificare la dimensione esperienziale della cantina, dove poi vendere direttamente, alla spesa per rinnovare le etichette e per gli eventi; il tutto anche con un occhio alla diversificazione laterale, trasformando cioè il concetto di ospitalità in enoteca, affiancando l’enogastronomia alla proposta di prodotti complementari”.
Oggi gli uomini di marketing della SDA Bocconi identificano nel target dei Millennials (il 34% della popolazione mondiale, il 24% di quella Europea, per un totale di 12 milioni di consumatori in Italia e 80 milioni di americani) quello su cui concentrarsi in modo più specifico. Focalizzarsi su un gruppo di potenziali clienti che hanno la medesima percezione del prodotto potrebbe, infatti, rivelarsi un buon investimento per il presente e il futuro.
In particolare, in Italia si evidenziano tendenze comuni che caratterizzano l’approccio di queste persone al vino: da una parte un consumo sociale di tale bevanda, in momenti di intimità e convivialità, dall’altra la ricerca di genuinità, per star bene anche, eventualmente, bevendo da soli.
All’estero, è stato riferito che i momenti di consumo sono abbastanza simili ai nostri ma, guardando in particolare a Spagna, Francia, Germania, UK e Usa, il vino italiano è soprattutto riservato a situazioni speciali ed eleganti oltre a rappresentare un’occasione di sperimentazione.
È stato sottolineato che al di fuori dei nostri confini esiste un problema di pricing: in alcune nazioni il prezzo non traduce correttamente il vero valore del vino italiano, relegandolo a una posizione inferiore rispetto a quello di altri Paesi. Uno per tutti, la Francia. Se ne deduce che al produttore conviene agire da due punti di vista: da un lato sugli opinion leader e dall’altro sul mondo della distribuzione, per un’ottimizzazione della selezione e dell’assortimento, per una esatta rotazione e un giusto posizionamento.
Proprio alla grande distribuzione è ormai riconducibile il 42% delle revenue in questo mercato. Agli evergreen bisogna dunque affiancare anche sullo scaffale prodotti innovativi, prezzi basic, ma anche più alti. Tenendo presente che il 92% del fatturato è generato da bottiglie che costano meno di 25 euro.

Il problema del brand

Sin qui le riflessioni da cui partire per fare trade marketing, ma relativamente al vino emerge un’ulteriore complessità. Quando si inizia a parlare di brand si deve capire a che marchio si vuole fare riferimento: il brand collettivo Italia o quello dei singoli territori/regioni, dei vitigni, oppure ancora quello delle singole aziende?
“La nostra impresa” ha risposto Domenico Zonin, presidente Unione Italiana Vini “investe per rafforzare il proprio brand, ma non ci nascondiamo che siamo trainati anche dalla marca collettiva. Prendendo coscienza di questo dobbiamo lavorare anche su altri aspetti, sul marchio Italia, per esempio. D’altro canto, dobbiamo tener presente che oggi i competitor più agguerriti sono quelli che stanno nascendo nei mercati dove tradizionalmente abbiamo sempre esportato: Usa, Cina, Australia, Brasile. In quelle aree si piantano vigneti e si costruiscono aziende mediamente molto grandi con capacità di marketing superiori alla nostre e opportunità di azione decisamente vaste, in quanto non legati a particolari tradizioni”.
“La strategia vincente a nostro avviso” è il parere di Roberto Lavato, rappresentante Ufficio Agroalimentare e Vini ICE “è quella della formazione e informazione degli interlocutori. I grandi nomi hanno il ruolo di ambasciatori sia del proprio territorio sia del sistema Italia. Dobbiamo arricchire il vino di tutti quegli elementi culturali che evidentemente possiamo vantare solo noi”.
“Il vino è sicuramente un prodotto che sta funzionando sul mercato” ha comunque ricordato Riccardo Cotarella, presidente Comitato scientifico del Ministero delle Politiche agricole per il Padiglione del Vino di Expo 2015. “Anche se ha risentito, come tutti, del periodo difficile, siamo convinti che nel momento della ripresa potrà essere in vantaggio rispetto ad altri. Nella mia lunga esperienza, in questi anni mi sono reso conto che c’è sempre più competenza tra gli addetti ai lavori: per esempio, anche nelle piccole cantine a conduzione familiare c’è almeno un enologo laureato”.
“Il ministro Maurizio Martina” ha concluso Enrico Arcuri, capo segreteria tecnica del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali “ha dichiarato l’obiettivo dei 50 miliardi di euro generati dall’export entro il 2020. Sembrava un target provocatorio, ma se guardiamo al trend del 2015 penso che ci arriveremo vicini. E il vino sicuramente sarà uno dei responsabili di questo successo”.

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