mamme lavoratrici Società

Il lavoro delle donne con figli

donna al lavoro mentre figli giocano

L’Italia è al penultimo posto in Europa per l’occupazione femminile, e le donne con i figli sono ancora più penalizzate. L’indagine dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro

Carriere sospese, dimissioni obbligate, orari ridotti, sono solo alcuni degli ostacoli che le lavoratrici devono affrontare se vogliono essere madri. In Italia ancora non esiste una reale parità di diritti e opportunità di genere, è inutile raccontarsi favolette. Come abbiamo più volte constatato, il tetto di cristallo continua a stare lì: avanzamenti di carriera limitati, stipendi più bassi a parità di titoli rispetto agli uomini, pochi incarichi di vertice, tanto che si deve per forza arrivare a imporli per legge, come le “quote rosa”.
Oltre tutto, anche la possibilità di arrivare alla pensione diventa un miraggio, dal momento che i contributi non sono sufficienti ad alimentarne una decente.
L’universo lavorativo femminile insomma è ben diverso da quello maschile e bisogna evidenziarlo.

L’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, in occasione della Giornata internazionale della donna, l’8 marzo, ha analizzato i riflessi della bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ne è risultato che non solo in tutta Europa siamo al penultimo posto (all’ultimo c’è la Grecia) per l’occupazione femminile, ma anche che se si è madri la situazione peggiora in maniera esponenziale. Le donne con almeno un figlio hanno un tasso di occupazione inferiore del 15% rispetto alle donne senza figli. E più figli si hanno meno lavoro, in questa nostra Italia, si può trovare. Con conseguenze devastanti anche per la vecchiaia, dal momento che non si riuscirà ad ottenere una pensione e si dovrà ricorrere (forse) all’assegno sociale, la vecchia pensione per i poveri.

I livelli di istruzione consentono di trovare un riparo, dal momento che le donne laureate hanno un tasso di occupazione superiore, anche quando fanno figli. Per le laureate insomma la maternità non ha un impatto così significativo sulla partecipazione al mercato del lavoro come invece per le donne con il diploma o la licenza media, ma – come rileva l’Osservatorio – vista l’assenza di una vera rete pubblica di protezione sociale, il lavoro rappresenta un lusso per le donne, poiché molto spesso lo stipendio non basta a coprire le spese sostenute per l’asilo nido ed i servizi di baby-sitting.

I dati dell’Osservatorio dei consulenti del lavoro

Il tasso di occupazione femminile italiano (48,1%) è ancora distante dall’obiettivo che la strategia di Lisbona indicava addirittura per il 2010, che doveva essere del 60%. Attualmente l’Italia occupa il penultimo posto tra i paesi europei nella classifica dei tassi di occupazione delle donne dai 15 ai 64 anni con 13,2 punti percentuali di differenza rispetto alla media europea (61,3%). È messa peggio solo la Grecia (43,3%), mentre in Francia, Germania e Regno Unito, oltre 60 donne su 100 sono occupate.
Le poche donne che lavorano hanno per lo più carriere discontinue e con redditi inferiori agli uomini per via del largo uso del part time: il 40,1% delle mamme di età tra i 25 e i 49 anni è impiegata a tempo parziale (contro il 26,3% delle donne senza ruolo genitoriale) mentre per gli uomini è una condizione residuale non arrivando al 10%.

La pensione che non arriverà

Le carriere discontinue e gli orari di lavoro ridotti non consentono di alimentare in modo continuo le posizioni previdenziali utili all’accesso alla pensione di vecchiaia. In base ai dati Inps, nonostante le donne beneficiarie di prestazioni pensionistiche siano 8,4 milioni (862 mila in più degli uomini), solo il 36,5% beneficia della sola pensione di vecchiaia frutto della propria storia contributiva, contro il 64,2% degli uomini. Mentre l’assegno medio mensile delle donne con la sola pensione di vecchiaia è di 14.690 euro annui, con un gap di oltre un terzo rispetto a quello degli uomini (23.409 euro annui).

Mamme al lavoro

La gestione contemporanea del lavoro e della cura dei figli rappresenta una dimensione rilevante per il tema dell’occupazione femminile. Le donne con almeno un figlio registrano un tasso di occupazione inferiore di oltre 15 punti percentuali rispetto a quello delle donne senza figli. Al crescere del numero di figli diminuisce proporzionalmente il tasso di occupazione femminile. Prendendo a riferimento il tasso di occupazione delle donne senza figli (70,8%), questo scende di oltre 8 punti per le mamme con un solo figlio (62,2%), di oltre 18 punti in caso di due figli (52,6%) e di oltre 22 punti percentuali (39,7%) nel caso di almeno tre figli.
La presenza di figli porta una gran parte delle mamme ad entrare nella popolazione degli inattivi, ovvero in quel limbo in cui non si è né occupati né disoccupati ufficialmente.

Mamme con laurea o senza

Per chi ha una laurea va meno male. Perché? Perché gli stipendi sono più alti e ci si può permettere di pagare una baby sitter. Tutto qua.
Il tasso di occupazione femminile per le donne laureate senza carichi familiari raggiunge l’83,8%. Le mamme laureate hanno una perdita di soli 7,2 punti percentuali del tasso di occupazione (76,6%). Anche con l’aumentare del numero di figli i livelli occupazionali delle donne laureate restano superiori al 70%.
La disponibilità di risorse economiche permette alle donne occupate con alti stipendi di poter far fronte alla cura dei minori acquistando i servizi di cura sul mercato dei servizi privati. Dinamica molto diversa si osserva per le diplomate e per le donne con la sola licenza media. Ogni 100 diplomate senza figli ne risultano occupate 70,9, mentre in caso di almeno un figlio la percentuale scende al 59,4% (-11,5%).
Ancora più grave è la condizione delle donne con la licenza media, che hanno un tasso di occupazione molto basso in mancanza di figli (51,6%), che scende ulteriormente di quasi 17 punti percentuali (35%) se sono mamme. Per le madri di famiglie numerose (con oltre 2 figli) meno istruite, il tasso di occupazione arriva a livelli minimi (23,6%). In questi casi i costi sostitutivi alla cura dei figli (asili nido e baby-sitter) non sono coperti dai livelli di reddito delle donne con medio o basso livello di istruzione.

L’Italia delle mamme è uguale per tutte? Evidentemente no, e bisogna saperlo fin da bambine, perché il percorso di studi che si intende intraprendere conta. E avere le idee chiare fin da subito è importante, a prescindere da ciò che pensano i genitori o da quel che si tramanda per tradizione: il futuro ci appartiene. Pretendiamolo.

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