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Censis: boom di badanti in Italia

Badanti in Italia

Censis: boom di badanti in Italia

Sono ben 1.655.000 le badanti nelle case degli italiani, con un aumento del 53% in dieci anni. Secondo le stime, nei prossimi anni ne serviranno molte di più, per arrivare a altre 500.000 nel 2030. I punti di vista dei lavoratori e quelli delle famiglie che assumono: pro e contro

Le famiglie pagano alle badanti in media 667 euro al mese, anche se a causa della crisi molti (oltre il 90% sono donne) iniziano a non farcela e pensano di lasciare il lavoro per assistere un congiunto al posto della badante.

Sono questi i principali risultati di una ricerca realizzata dal Censis e dall’Ismu per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che è stata presentata il 14 maggio a Roma dal direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, e da Giancarlo Blangiardo, della Fondazione Ismu, e Natale Forlani, Direttore Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Alla presentazione dei risultati della ricerca sono intervenuti anche Paolo Reboani, Presidente di Italia Lavoro, e Maria Cecilia Guerra, Viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha concluso il convegno.

Punto di partenza della ricerca sui “servizi alla persona e occupazione nel welfare che cambia”, è stata la constatazione che nell’ultimo decennio l’area dei servizi di cura e assistenza per le famiglie ha rappresentato per il nostro Paese un grande bacino occupazionale. Il numero dei collaboratori che prestano servizio presso le famiglie, con formule e modalità diverse, è passato da poco più di un milione nel 2001 all’attuale 1 milione 655mila (+53%), registrando la crescita più significativa nella componente straniera, che oggi rappresenta il 77,3% del totale dei collaboratori.

Sono 2 milioni 600mila le famiglie (il 10,4% del totale) che hanno attivato servizi di collaborazione, di assistenza per anziani o persone non autosufficienti, e di baby sitting. E si stima che, mantenendo stabile il tasso di utilizzo dei servizi da parte delle famiglie, il numero dei collaboratori salirà a 2 milioni 151mila nel 2030 (circa 500mila in più).

Ma quando si parla di badanti, esattamente di quale lavoro si parla? Genericamente si parla di servizi alla persona o di servizi di collaborazione domestica: in Italia questi lavori si caratterizzano ancora per la forte destrutturazione, anche quando comportano un’assistenza specialistica a persone non autosufficienti. Si configurano come un lavoro domestico a tutto tondo, con una quota dell’83,4% dei collaboratori occupati nel governo della casa, fino all’assistenza avanzata a persone non autosufficienti (15,3%) e a bambini (18,3%).

C’è poi una sottovalutazione del valore delle competenze, visto che solo il 14,3% dei collaboratori ha seguito un percorso formativo specifico, sebbene il 60% di essi si occupi dell’assistenza di una persona anziana.

Va sottolineata anche l’assenza di intermediazione nel rapporto di lavoro: solo il 19% delle famiglie si avvale di intermediari per il reclutamento. Ed esiste un’ampia area di lavoro totalmente irregolare (il 27,7% dei collaboratori) e «grigio» (il 37,8%) che si accompagna però al progressivo consolidamento di un quadro di tutele.

Si sceglie di svolgere questo lavoro principalmente per necessità (nel 71% dei casi) oppure perché si è perso il lavoro precedente (nel 35,4% dei casi). Malgrado ciò, la maggior parte delle badanti e dei badanti dopo un certo periodo di tempo ha apprezzato la scelta compiuto, per via delle opportunità occupazionali e reddituali: la maggioranza (il 70%) considera l’attuale occupazione ormai stabile e solo il 16% sta cercando attivamente un lavoro più soddisfacente (tra gli italiani il 25%).

Dal punto di vista di chi assume però la situazione comincia a essere critica: sempre più famiglie incontrano difficoltà non solo nel reclutamento, ma anche nella gestione del rapporto con i collaboratori. La pesantezza del «fattore organizzativo» le porta oggi a chiedere con forza, oltre agli sgravi di natura economica, una maggiore semplificazione per l’assunzione e la regolarizzazione dei collaboratori (lo chiede il 34% contro il 40% che richiede gli sgravi), ma anche servizi che sul territorio favoriscano l’incontro tra domanda e offerta (29%). Inoltre, il 34,5% delle famiglie vorrebbe l’istituzione di registri di collaboratori al fine di garantirne la professionalità, il 39% vorrebbe invece che venissero create o potenziate le strutture che si occupano di reclutamento, mentre il 25,7% sarebbe pronto ad affidarsi totalmente a un’agenzia privata che sollevi la famiglia da tutte le incombenze di carattere burocratico e gestionale.

Ma le vere incognite che oggi incombono sulla sostenibilità del sistema sono soprattutto di natura economica. Il welfare informale ha infatti un costo che grava quasi interamente sui bilanci familiari.
A fronte di una spesa media di 667 euro al mese, solo il 31,4% delle famiglie riesce a ricevere una qualche forma di contributo pubblico, che si configura per i più nell’accompagno (19,9%). Se la spesa che le famiglie sostengono incide per il 29,5% sul reddito familiare, non stupisce che già oggi, in piena recessione, la maggioranza (56,4%) non riesca più a farvi fronte e sia corsa ai ripari: il 48,2% ha ridotto i consumi pur di mantenere il collaboratore, il 20,2% ha intaccato i propri risparmi, il 2,8% si è dovuto addirittura indebitare. L’irrinunciabilità del servizio sta peraltro portando alcune famiglie (il 15%, ma al Nord la percentuale arriva al 20%) a considerare l’ipotesi che un membro della stessa rinunci al lavoro per prendere il posto del collaboratore.

Ci troviamo quindi innanzi a una situazione di esigenze crescenti a fronte di risorse calanti, che porta le famiglie (il 44,4%) a ritenere che nei prossimi cinque anni avrà bisogno di aumentare il numero dei collaboratori o delle ore di lavoro svolte. Ma al tempo stesso la metà delle famiglie (il 49,4%) sa che avrà sempre più difficoltà a sostenere il servizio e il 41,7% pensa addirittura che dovrà rinunciarci. 

Tra le famiglie attualmente prive di badante, il 20% dichiara che in casa è presente una persona che ha bisogno di cura e assistenza. In questi casi non ci sono esborsi economici da sostenere, ma un costo non irrilevante grava comunque sulla famiglia: la rinuncia a lavorare da parte di un suo componente.
Si stima che nel 25% delle famiglie in cui è presente una persona da assistere, e non si possa ricorrere ai servizi di un collaboratore, vi è una donna (nel 90,4% dei casi) giovane (il 66% ha meno di 44 anni) che ha rinunciato al lavoro: interrompendolo (9,7%), riducendo significativamente l’impegno (8,6%) o smettendo di cercarlo (6,7%).

Come sempre dunque spetta alle donne il sacrificio di lasciare il lavoro, ciò spesso anche a causa del fatto lo stipendio femminile è inferiore di quello maschile e dunque è più conveniente che siano loro a lasciare il posto di lavoro. Insomma oltre al danno le beffe.
Per concludere con le parole degli stessi ricercatori del Censis, “con una domanda crescente di protezione sociale, è indispensabile incrociare il «welfare familiare», che impiega rilevanti risorse private, con un intervento pubblico di organizzazione e razionalizzazione dei servizi alla persona basato su vantaggi fiscali alle famiglie per garantirne la sostenibilità sociale”.

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