Diritti

Diffamazione: spunta norma pro-casta

prigione

 

Il Consiglio d’Europa preoccupato dal progetto di legge italiano: il giornalista rischia fino a 9 anni di carcere se diffama a mezzo stampa un politico o un magistrato

Il giornalista che diffama un politico – compresi i parlamentari – un amministratore pubblico o un magistrato rischia il carcere fino a 9 anni. Ma se scrive cose sbagliate su un cittadino viene condannato a sei anni di reclusione. Si inaspriscono le pene per il reato di diffamazione a mezzo stampa, con effetti “raggelanti sulla libertà dei media”. La denuncia arriva dalle organizzazioni EFJ (European Federation of Journalists), AEJ (Association of European Journalists), IPI (International Press Institut) e Index on Censorship, che – preoccupate per il Disegno di Legge che propone tre anni in più di carcere per i giornalisti colpevoli di diffamazione – hanno segnalato il caso sulla piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti del Consiglio d’Europa.

L’articolo 3 del progetto di Legge recante Disposizioni in materia di contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali introduce una nuova norma nel Codice penale: il 339 bis (Circostanza aggravante. Atti intimidatori di natura ritorsiva ai danni di un componente di un corpo politico amministrativo o giudiziario), che di fatto  aumenta le condanne “da un terzo alla metà” se il fatto è commesso ai danni di un componente di un corpo politico, amministrativo o giudiziario “a causa dell’adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio”. I reati cui si riferisce la norma sono quelli previsti dagli articoli 582, 594, 595, 610, 612 e 635 del Codice penale, e cioè rispettivamente lesioni personali, ingiuria, diffamazione, violenza privata, minaccia e danneggiamento. La diffusione a mezzo stampa dell’offesa all’altrui reputazione è prevista dall’articolo 595 del Codice penale e dal comma 3 dell’articolo 13 della legge sulla stampa – la numero 47 del 1948 – come circostanza aggravante del delitto di diffamazione generica, perché il mezzo utilizzato importa una maggiore divulgazione dell’addebito disonorante, determinando quindi un maggior danno. Non solo: l’articolo 13 prevede un’ulteriore aggravante, “consistente nell’attribuzione di un fatto determinato”, che comporta appunto un aggravamento di pena. Dunque, alla condanna massima di sei anni se ne aggiungono altri tre e si arriva così a nove.

Il Disegno di Legge, approvato all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato, è ora all’esame di palazzo Madama.

La misura fa insorgere Fnsi e Ordine dei giornalisti e provoca tensioni tra le forze politiche. “È molto grave che il Parlamento lavori ad inasprire le sanzioni a carico della categoria, mentre nessuna risposta è stata ancora data alla richiesta di cancellare il carcere per i giornalisti: arma impropria usata sempre più spesso contro i cronisti, costretti quotidianamente a fare i conti con le minacce della criminalità”, affermano il segretario e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. Il Comitato esecutivo dell’Ordine dei Giornalisti parla di “casta che si blinda: da un lato si sbandiera come già realizzata (ma di fatto insabbiata) l’abolizione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa, dall’altro, con un blitz, si inaspriscono le pene determinando una disparità di trattamento tra politici e magistrati – che vengono considerati cittadini di serie A – e tutti gli altri. Non può essere giustificabile la  motivazione secondo cui il provvedimento nasce da una presunta tutela degli amministratori pubblici da intimidazioni, violenze o minacce finalizzate a bloccarne il mandato. Anzi, in realtà si accentua il tentativo di intimidire i giornalisti limitando il diritto dei cittadini ad essere informati”. 

I ‘colpevoli’ – accusa il senatore Carlo Giovanardi (Movimento Idea) – sono i senatori di Pd e M5S, che “hanno votato con entusiasmo in commissione Giustizia la norma. Io ho contrastato in commissione questa follia di aggravare le pene per chi diffama i parlamentari, mentre i parlamentari stessi godono della prerogativa costituzionale della insindacabilità per le loro opinioni”.

Si tratta di una “strabiliante trovata, che non ha nulla a che vedere con l’equilibrio fra i poteri e consiste invece in un mero privilegio che ha l’effetto di una intimidazione preventiva”, aggiunge il collega Gaetano Quagliariello.

Ed ecco pronte le arringhe difensive di Pd e M5S. “Non corrisponde a verità che il giornalista che diffama i politici o gli amministratori locali rischi fino a nove anni di carcere. L’aggravante, che è stata introdotto con l’articolo 3 del ddl, riguarda solamente la diffamazione a carattere ‘ritorsivo’. Per fare chiarezza: il privato cittadino a cui per esempio è stata negata una concessione che si serve del giornalista o del giornale per esercitare una pressione nei confronti dell’assessore o dell’amministrazione comunale, compie un atto ritorsivo. Per questo incorrerà nell’aggravante. Ogni altra ricostruzione è priva di fondamento e funzionale solo ad alimentare un clima negativo che crea confusione e disinformazione”, spiega il senatore Giuseppe Cucca (Pd), relatore del provvedimento.

Anche i pentastellati si difendono: “il disegno di legge in merito alle disposizioni in materia di contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali, attualmente in discussione al Senato, deve riguardare e tutelare solo ed esclusivamente gli amministratori degli enti locali e, quindi, escludere ogni riferimento ai parlamentari” precisa Enrico Cappelletti, capogruppo M5S in commissione Giustizia del Senato. “L’intento della legge, da noi condiviso è quello di mettere a riparo i predetti soggetti da atti di intimidazione, lesioni personali, minacce, danneggiamenti e violenze, non già concedere ulteriori tutele ai parlamentari. Anche a questo scopo, sono stati depositati da tempo gli emendamenti da parte del M5S che verranno riproposti in Aula al momento della discussione del provvedimento. Con attinenza, inoltre, al reato di diffamazione si fa presente che sono già depositati, da tempo, i nostri emendamenti per eliminarlo dal novero dei reati penali nei confronti degli amministratori degli enti locali. Emendamenti quindi a tutela dei giornalisti”. 

Nel testo della segnalazione – che il Consiglio d’Europa sottoporrà alle autorità italiane – le organizzazioni EFJ, AEJ, IPI e Index on Censorship riaffermano “con fermezza” il principio,  stabilito da diverse sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che “coloro che detengono alte cariche pubbliche non dovrebbero beneficiare di protezioni supplementari per legge, ma invece dovrebbero essere disposti ad accettare un livello più alto di critica rispetto ad altri”.

 

Anche i giornalisti non ci stanno e hanno già pronta una manifestazione ad hoc per mercoledì 15 giugno davanti la sede del governo, per una ‘InformAZIONE Libera’. Al sit in – organizzato da Nuova Opinione Italiana, Donna in Affari e Agenzia MasMan – hanno già aderito l’Associazione stampa reggiana, l’associazione Tutela dei diritti e Solidarità, e ancora: le associazioni Flidon, Irideventi e RAM queste ultime da sempre impegnate nella divulgazione della cultura della legalità e nella lotta alla mafia. E ancora: Le Mille Donne per l’Italia, Libera, l’Associazione Nazionale Giuseppe Garibaldi.

Il sit in si terrà dalle ore 16 alle 19 sotto l’obelisco di Montecitorio e saranno presenti diversi componenti del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, mentre alcuni deputati hanno già fatto sapere che scenderanno dalla Camera e si uniranno alla protesta. Le nostre lettrici e i nostri lettori sono invitati a partecipare!

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