Lavoro Sicurezza

Lavoro femminile in Italia, gli studi Anmil

Le elaborazioni dell’Anmil su salute e sicurezza nel lavoro femminile in Italia, con un focus anche sulle donne disabili

In occasione della Giornata Mondiale della sicurezza nei luoghi di lavoro, lo scorso 28 aprile, e della ricorrenza del 1° maggio dedicata ai lavoratori, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (Anmil) ha divulgato i dati di alcuni suoi studi, elaborati da diverse fonti ufficiali, tra i quali abbiamo selezionato quelli relativi al lavoro femminile in Italia.

La sicurezza sul lavoro per l’Anmil
Il presidente dell’Anmil, Zoello Forni, sottolinea che la Giornata Mondiale della Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro del 28 aprile e la Festa dei Lavoratori del 1° Maggio rappresentano per l’Associazione l’occasione per sollevare un tema purtroppo sempre di grande attualità nel nostro Paese per via delle migliaia di famiglie devastate da morti sempre evitabili o costrette a iniziare una vita diversa a causa dei danni fisici e psicologici riportati dai loro cari e con i quali dovranno convivere per sempre. Nel 2021, secondo la Relazione annuale INAIL, sono stati denunciati oltre 560.000 incidenti sul lavoro, di cui 1.361 mortali: un numero impressionante che è continuato a crescere anche nel 2022, con un aumento delle denunce di quasi il 30% rispetto all’anno precedente. E purtroppo i primi mesi del 2023 non sono stati da meno: tra gennaio e febbraio di quest’anno sono stati denunciati oltre 86.000 infortuni, di cui 100 mortali. “Come presidente dell’Anmil guardo ai dati sul fenomeno infortunistico con crescente preoccupazione e per questo ritengo, innanzitutto, che si debba tornare a parlare con serietà anche della tutela delle vittime e delle loro famiglie, che spesso sembra essere poco considerata” spiega Forni. “Dietro questi freddi dati ci sono infatti le storie personali di donne e uomini che hanno visto la loro vita cambiare per sempre e ai quali dovrebbe essere garantita la migliore tutela possibile sia dal punto di vista delle prestazioni economiche che da quello delle prestazioni sanitarie fino al reinserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.

Lavoro femminile in Italia
Premesso che “l’uguaglianza di genere non è solo una questione etica e valoriale, ma una forma di avanzamento e progresso per una società più consapevole e matura”, i dati raccolti dall’Anmil scattano la fotografia del lavoro femminile in Italia da un punto di vista diverso dal solito: quello della salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Per quanto riguarda il lavoro femminile in Italia troviamo che su una percentuale di occupati (rispetto a tutta la popolazione italiana in età da lavoro) in ascesa, pari al 60,5% a fine 2022 (il valore più alto dal 1977) il gap di genere sia alto: è occupato il 69,5% dei potenziali lavoratori e il 51,4% delle potenziali lavoratrici, quindi con una differenza di genere del 18,1%.
La popolazione italiana con disabilità in età lavorativa è di circa 700.000 unità ma fra queste solo il 31,3% è occupata. Di donne disabili occupate ce ne sono circa 100.000 (il 26,7%). E qui il gap è ancora più alto: il 25%. Il problema risiede anche nel fatto che le donne con disabilità in età lavorativa che cercano lavoro sono ben 50.000 (il 15,1%), per la maggior parte giovani e volenterose. Si tratta di donne che vengono respinte dal mercato del lavoro.

Gli infortuni sul lavoro femminile in Italia
Nel 2022, rispetto al 2021, si è registrato un deciso aumento delle denunce di infortunio in complesso (+25,7%), sia in occasione di lavoro (+28%) che in itinere (+11,9%). L’aumento tra il 2021 e il 2022 ha riguardato soprattutto la componente femminile (+42,9%) che è passata da 200.557 a 286.522 infortunate, soprattutto in occasione di lavoro. Ricordiamo che vengono annoverati in questo ambito anche quelli da Covid-19.
Le denunce di infortunio sul lavoro (maschi e femmine) con esito mortale presentate entro dicembre 2022 sono state 1.090, 131 in meno rispetto alle 1.221 registrate nel 2021 (-10,7%). Delle 1.090 denunce totali, le donne che hanno perso la vita sono state 110.
Per quanto concerne il settore di attività, gli infortuni delle lavoratrici sono avvenuti nel Manifatturiero, nel Supporto alle imprese, nella Sanità e nel Commercio. Pochi nel settore Statale e in Agricoltura.

Le cause degli infortuni e le conseguenze
Nell’intero quinquennio 2017-2021, prendendo in considerazione solo i casi avvenuti in occasione di lavoro e accertati positivamente dall’Inail, i movimenti del corpo sotto sforzo fisico sono la prima causa di infortunio, sia per le donne (22,2% sul totale dei casi codificati) sia per gli uomini (23,9%). Seguono, per il genere femminile, la deviazione dovuta a traboccamento, l’evaporazione con il 21,9% (che nel solo 2020 raggiunge oltre il 60% dei casi per effetto del numero rilevante di infortuni da Covid-19) e lo scivolamento o inciampamento con caduta di persona (20% circa, mentre tra gli uomini è al quarto posto tra le cause di infortunio con oltre il 15%).
Nel 2021, quella maggiormente interessata dagli infortuni continua ad essere la mano, anche se per le donne presenta un’incidenza inferiore rispetto agli uomini (21,6% dei casi codificati contro 29,1%), dovuta alla maggior quota assunta per le lavoratrici, rispetto ai lavoratori, da altre parti del corpo come la caviglia (13,5% contro 9,0%), il ginocchio (10,3% contro 7,7%) e la colonna vertebrale (10,1% contro 7,7%). Riguardo alla natura delle lesioni, le più numerose sono contusioni (35,7%), lussazioni (28,2%) e fratture (19,9%).

Il lavoro femminile in Italia. La distribuzione territoriale degli infortuni
Gli infortuni femminili si concentrano per circa i due terzi al Nord (62%), seguito dal Centro (20%) e dal Mezzogiorno (18%). Anche i decessi per il genere femminile hanno subito una riduzione tra il 2020 e 2021 (da 192 a 148) e sono scesi a 110 nel 2022, sintesi di un calo sia al Nord (da 107 casi mortali nel 2020 a 67 nel 2021) sia nel Mezzogiorno (da 55 a 39) e di un aumento al Centro (da 30 a 42). Nel Nord si concentra il 46% dei casi mortali, al Centro il 28% e nel Mezzogiorno il 26%.

Donne disabili e mondo del lavoro
Quando parliamo di disabilità si pensa subito all’impossibilità di camminare o a un deficit sensoriale (sordità, mutismo, cecità, ecc.) ma sono molte le malattie inserite nel novero delle disabilità. Sono considerate ufficialmente disabili dall’Istat “le persone che riferiscono di avere limitazioni, a causa di problemi di salute, nello svolgimento di attività abituali e ordinarie”. Secondo i dati del Rapporto “Conoscere il mondo della disabilità. 2019” pubblicato dall’Istat nel 2020 nel nostro Paese le persone che, a causa di problemi di salute di vario genere, soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere le abituali attività quotidiane sono circa 3 milioni e 100 mila (il 5,2% della popolazione). Di questi i due terzi (2,05 milioni circa) sono donne, mentre un terzo (1,05 milioni) uomini. Non tutti in età da lavoro però, come abbiamo visto in precedenza.
Nell’analisi del lavoro femminile in Italia l’esperto statistico Franco D’Amico ha elaborato i dati Inail e Istat per l’Anmil trovando infatti che, nonostante la normativa vigente in Italia e nell’UE, sull’impiego di donne disabili nel mercato del lavoro, “la realtà resta tuttavia deludente e risulta ancora rilevante lo svantaggio delle persone con disabilità ed in particolare per le donne”.

I tipi di disabilità
Ma quali sono le disabilità conseguenza di infortuni sul lavoro femminile in Italia? Dall’analisi emerge che delle 78.000 donne disabili la maggior parte (circa 46.000 pari al 59,1% del totale) ha limitazioni di natura motoria che possono riguardare gli arti inferiori o superiori e la colonna vertebrale. Circa 9.000 donne (l’11,7% del totale) hanno invece una disabilità di natura psico-sensoriale, costituite prevalentemente da limitazioni nel sentire (ipoacusia o sordità), nel vedere (ipovedenti o ciechi), nel parlare o da problemi di natura psichica o mentale. Le disabili di natura cardio-respiratoria sono poco più di 2.900, che corrispondono al 3,7% del totale.
La quota di presenza femminile tra i disabili da lavoro, mediamente pari al 14,6%, risulta più elevata nella disabilità di natura motoria (16,6%) e molto più ridotta nelle altre due tipologie di disabilità (rispettivamente 8,2% nella disabilità psico-sensoriale e 11,9% in quella cardio-respiratoria). La stragrande maggioranza delle donne disabili da lavoro, circa 68.000 (l’86,8% del totale) è stata vittima di un infortunio. Per 10.000 donne la disabilità deriva invece dall’aver contratto una malattia professionale. E se per la disabilità motoria la causa è legata quasi esclusivamente (95,1%) all’impatto traumatico che caratterizza l’infortunio sul lavoro, per la disabilità psico-sensoriale e soprattutto per quella cardio-respiratoria risulta nettamente prevalente l’effetto subdolo e prolungato dell’insorgenza della malattia professionale.

Le donne disabili per causa lavoro
I dati sul lavoro femminile in Italia parlano da sé quando si affronta il tema della salute e sicurezza: in media ogni anno si verificano, tra le lavoratrici, circa 246.000 eventi lesivi (230.000 infortuni sul lavoro e 16.000 malattie professionali) che rappresentano oltre un terzo dei 705.000 casi (645.000 infortuni e 60.000 malattie professionali) che si registrano complessivamente nel nostro Paese. Si tratta per la grande maggioranza di eventi che comportano in genere inabilità temporanea al lavoro o inabilità permanente di lieve entità. C’è tuttavia un numero elevato di decessi e di eventi di alta o addirittura assoluta gravità che, secondo la definizione adottata dall’Inail, fanno sì che le lavoratrici vengano classificate “disabili da lavoro”, ovvero donne che hanno subito una menomazione di particolare gravità (grado tra 16% e 100%) ed hanno pertanto diritto ad un sostegno particolare, compresa la rendita vitalizia. Ebbene ogni anno in Italia circa 2.000 donne diventano “disabili da lavoro” a seguito di un infortunio o una malattia professionale, su un totale di circa 12.000.
Al 31 dicembre 2021 i “disabili da lavoro” rilevati dall’Inail sono circa 533.000, dei quali oltre 78.000 donne. La prevalenza maschile in questi casi è dunque netta: l’85,4% del totale, in netto contrasto con quanto si verifica per la disabilità in generale, dove le donne rappresentano i due terzi del totale. Non va dimenticato però che gli uomini risultano penalizzati da una maggiore presenza in attività lavorative esposte a più elevati rischi di infortunio (Costruzioni, Metallurgia, Trasporti, Agricoltura) dove, generalmente, la presenza femminile è molto più contenuta e limitata per lo più a ruoli di natura amministrativa o impiegatizia.

L’inserimento delle disabili infortunate nel mercato del lavoro femminile in Italia
Per quanto riguarda l’inserimento al lavoro delle donne disabili, l’attuale condizione professionale delle donne disabili è influenzata notevolmente dalla loro età media. Il 56,7% delle donne disabili (circa 31.000) sono in età di pensione e perciò considerate inattive; il 40% (circa 22.000) è già occupato e solo il 3,3% (1.800 circa) non lo è. Naturalmente, oltre all’età, esiste una stretta connessione tra lo status di disoccupate e il livello di gravità della disabilità: come si è visto il 2,2% delle donne disabili ha una disabilità classificata “molto grave” o “assoluta” (vale a dire con grado di invalidità superiore al 66%). Questi dati dimostrano che le donne disabili da lavoro hanno un tasso di occupazione del 40%, significativamente superiore a quello che si era visto per le donne disabili in generale (pari al 26,7%) ma bisogna considerare che si tratta di donne che già lavoravano prima dell’incidente e che, essendo per la stragrande maggioranza dei casi di grado di inabilità inferiore al 33%, hanno potuto in buona parte continuare a lavorare.

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