Imprenditoria Studi e ricerche

VII Rapporto sulla bioeconomia in Europa

Presentato il VII Rapporto sulla bioeconomia realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster della Bioeconomia circolare SPRING e Assobiotec

La bioeconomia è definita dalla Commissione Europea come un’economia che usa le risorse biologiche rinnovabili di prima e di seconda generazione, provenienti dalla terra e dal mare, come materiale per la produzione energetica, industriale, alimentare e mangimistica. Il Rapporto, realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster della Bioeconomia circolare SPRING e Assobiotec-Federchimica (associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie in Italia con 130 imprese che si occupano delle varie aree della biotecnologia), stima il potenziale economico della bioeconomia nel nostro Paese e quanto l’Italia possa esprimere in termini competitivi nei settori identificati dalla Commissione Europea: agricoltura, silvicoltura, pesca, alimentare, industria del legno e della carta e parte del settore chimico che può utilizzare prodotti rinnovabili.

La presentazione del Rapporto “La Bioeconomia in Europa”
Il rapporto è stato presentato il 30 giugno 2021 a Trieste, presso lo Urban Center. Tra i relatori presenti di persona citiamo Francesca Nieddu di Intesa San Paolo e Lucia Gardossi del Cluster Spring e docente Università di Trieste, tra quelli collegati Riccardo Palmisano presidente Assobiotec-Federchimica e Massimiliano Fedriga, presidente della Conferenza delle Regioni e del Friuli Venezia Giulia. Alle analisi contenute in questa VII edizione hanno collaborato anche gli economisti di SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo). Nel Rapporto la stima della produzione e dell’occupazione della Bioeconomia in Italia è stata aggiornata al 2020, con l’obiettivo di fare emergere l’impatto del forte shock di domanda e offerta creato dalla pandemia.

Un nuovo modello di sviluppo sostenibile
La premessa è il ripensamento del modello di sviluppo economico in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità e al rispetto ambientale, una questione resa ancor più evidente dalla pandemia causata dal Covid-19 e dalle conseguenti decisioni di politica economica tra cui uno dei pilastri del Green New Deal lanciato dall’Unione europea, al centro anche di molti progetti del PNRR italiano. In questo contesto il ruolo della Bioeconomia – il sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, per la produzione di beni ed energia – è molto rilevante proprio per la sua natura fortemente connessa al territorio, la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, grazie a un approccio circolare, importanti nutrienti al terreno. E la quantificazione e l’analisi approfondita delle filiere della Bioeconomia diventano elementi imprescindibili per scelte di politica economica mirate e consapevoli dei cambiamenti in atto.

Elisabetta Borello, Bio for dreams

La Bioeconomia in Italia e il confronto con gli altri Paesi d’Europa
Secondo le stime presentate nel Rapporto, nel 2020 la Bioeconomia in Italia ha generato un output pari a circa 317 miliardi di euro, occupando quasi due milioni di persone. Dopo aver chiuso il 2019 con un incremento dell’1,4%, nel 2020 la Bioeconomia ha perso nel complesso il 6,5% del valore della produzione, un calo inferiore rispetto a quanto segnato dall’intera economia (-8,8%): il peso della Bioeconomia in termini di produzione è pertanto salito al 10,2% rispetto al 10% del 2019 e al 9,9% del 2018.

In tutti i Paesi europei il valore della Bioeconomia ha evidenziato un calo meno rilevante rispetto al totale dell’economia (-4,3% per il Regno Unito, -3,1% per la Germania, -3% per la Spagna, -2,3% per la Francia e +3,3% per la Polonia), evidenziando una maggiore resilienza allo shock pandemico grazie alla natura essenziale di molte delle attività di questo metasettore, con risultati che dipendono sia dalla severità della pandemia e delle relative misure di contenimento sia dalla differente composizione della bioeconomia nei diversi Paesi. Le performance settoriali risultano, infatti, molto diversificate: la filiera agro-alimentare, che in Italia rappresenta oltre il 60% del valore della Bioeconomia, è risultata meno colpita dalla crisi generata dalla pandemia (nonostante la chiusura della ristorazione a valle), così come le utilities (energia, acqua, rifiuti) e la filiera della carta (grazie al sostegno dei prodotti per utilizzi sanitari e del packaging, visto il boom del commercio online). Il sistema moda, che riveste un ruolo particolarmente importante per l’Italia, è invece il settore che registra la flessione più accentuata, a causa della chiusura della fase distributiva, del blocco negli arrivi di turisti stranieri e delle modifiche nelle preferenze d’acquisto dei consumatori.

La Bioeconomia nelle regioni italiane
Nel Rapporto è stata anche proposta per la prima volta la stima del valore della Bioeconomia, in termini di valore aggiunto e occupati, nelle regioni italiane. Il potenziale di sviluppo della Bioeconomia in ottica circolare è elevato nel nostro Paese e diffuso lungo tutto il territorio nazionale. Le stime originali del valore aggiunto della Bioeconomia nelle regioni italiane, realizzate in collaborazione con SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, evidenziano un ruolo particolare della Bioeconomia nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno, con un peso della Bioeconomia sul valore aggiunto regionale dell’8,2% e 6,7% rispettivamente (anno 2018). Sotto la media italiana (6,4%) invece il peso della Bioeconomia nel Nord-Ovest (5,3%) e nel Centro (5,7%).
Basilicata e Trentino-Alto Adige, con un’incidenza del 9,3%, si posizionano ai primi posti per valore aggiunto della Bioeconomia sull’economia regionale. Seguono Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, con un peso compreso tra l’8% e l’8,7%. Si colloca sotto la media nazionale invece la Lombardia (5,4%), che sconta una maggiore diversificazione produttiva. Sotto la media anche Piemonte, Campania e Sicilia.

Il Mezzogiorno in cima alla graduatoria nazionale
Le regioni del Mezzogiorno spiccano nella graduatoria nazionale in termini di occupazione, con un’incidenza del 10,7%, circa 3 punti percentuali in più rispetto alla media italiana (7,9%). Si posizionano ai primi posti, infatti, 4 regioni meridionali: Calabria (15,8%), Basilicata (15,1%), Puglia (13,2%) e Molise (11,6%). Nel Nord-Est, con un peso dell’8,8%, emerge il Trentino-Alto Adige, mentre nelle regioni del Centro (6,8%) spicca il peso delle Marche (10,8%), seguito da Toscana (9,5%) e Umbria (9,5%). Sotto la media italiana invece tutte le regioni de Nord-Ovest (5,6%).

Riccardo Palmisano, pres. Assobioteh

Il preponderante ruolo della filiera agroalimentare nella Bioeconomia
La filiera agro-alimentare riveste un ruolo di primo piano nella Bioeconomia di tutte le aree geografiche, con un peso che varia da circa il 50% nelle regioni del Centro, a quasi l’80% nelle regioni meridionali. Anche il sistema moda bio-based incide sensibilmente sulla Bioeconomia delle diverse aree geografiche, con una crescente attenzione ai temi della sostenibilità che sta coinvolgendo tutta la filiera produttiva, lungo tutta la penisola.

Le altre specializzazioni territoriali
Emergono altre rilevanti specializzazioni territoriali: nel Nord-Ovest spiccano ad esempio i settori a più elevato contenuto tecnologico, come la farmaceutica e la chimica bio-based. Nelle regioni del Nord-Est emerge anche la rilevanza della filiera del legno e dei mobili, mentre nel Centro spicca soprattutto il peso della filiera della carta e della farmaceutica. Nel Mezzogiorno la filiera agro-alimentare rappresenta quasi la totalità della Bioeconomia, ma non mancano anche esperienze nei settori a più alto contenuto tecnologico, come conferma la specializzazione di alcune province nel settore farmaceutico. Le specificità del tessuto produttivo delle diverse regioni italiane si rispecchiano anche nell’interesse verso le nuove frontiere della chimica bio-based, attività che fatica ad essere colta attraverso le sole statistiche ufficiali vista la sua trasversalità e innovatività. La mappatura, realizzata con il supporto del Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING attraverso una pluralità di fonti, mette in luce un sistema dinamico e complesso, con più di 830 soggetti, dalle 84 Università e centri di Ricerca (pubblici e privati) alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione.

Mappatura della chimica bio-based in Italia
“Al G20 di agosto racconteremo come sistema regionale le opportunità di investimento nella nostra regione legate al settore della ricerca, soprattutto nella chimica biobased nella quale il Friuli Venezia Giulia è ai primi posti in Italia” annuncia il presidente della Conferenza delle Regioni e del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. E in effetti nel Rapporto, dove viene proposta una descrizione dello stato dell’arte della produzione di chimica bio-based nel nostro Paese e una mappatura estesa delle principali esperienze di ricerca e sviluppo, seppur la chimica bio-based risulta nel complesso ben diffusa lungo tutta la penisola, emergono alcune regioni che stanno declinando le loro specializzazioni territoriali in ottica sostenibile e circolare: in primis la Lombardia, con circa il 20% dei soggetti identificati, a seguire Piemonte, soprattutto per il coinvolgimento delle imprese dei settori ingegneristici nell’economia circolare, Trentino- Alto Adige e Friuli-Venezia-Giulia (in particolare nella R&S) e Veneto per la chimica.
L’analisi, realizzata in collaborazione con il Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING, mette in luce un sistema italiano dinamico e complesso, con più di 830 soggetti, dalle 84 Università e centri di Ricerca (pubblici e privati) alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione.

Lucia Gardossi

Le nuove frontiere della chimica bio-based
Per chimica bio-based si intende quella parte della chimica che utilizza materie prime biologiche rinnovabili invece che fossili. Si tratta di un’attività difficile da fotografare attraverso le sole statistiche ufficiali vista la sua trasversalità e innovatività, ma che rappresenta un elemento chiave dello sviluppo della Bioeconomia in ottica circolare. Molti prodotti chimici bio-based, oltre ai vantaggi in termini di emissioni legati alla materia prima, sono anche biodegradabili e compostabili alla fine del loro ciclo di vita. La chimica bio-based contribuisce così a diminuire in maniera significativa l’impatto complessivo sull’ambiente. La natura fortemente innovativa, insieme all’opportunità di recupero in ottica circolare di biomassa di differenti origini, fa sì che l’interesse nei confronti della produzione di composti chimici bio-based sia estesa a tutti i settori che compongono la Bioeconomia. Oltre al ruolo importante delle imprese chimiche, che costituiscono più del 40% delle imprese censite al netto delle start-up, è da segnalare il contributo importante delle imprese della filiera agro-alimentare, delle utilities, della moda e delle imprese del legno e carta. Interessante, poi, anche il crescente coinvolgimento nei progetti della chimica bio-based da parte di altri settori, dalla meccanica (con progetti di ricerca volti alla messa a punto di macchinari in grado di utilizzare i nuovi composti) all’automotive, settore sempre più impegnato nei confronti delle tematiche ambientali anche attraverso la sostituzione di materiale a base fossile con prodotti a matrice bio-based.

Potrebbe interessarti