Studi e ricerche

Il discorso di Barroso – stato dell’Unione Europea

sessione plenaria Parlamento Europeo

Signor Presidente,
Onorevoli parlamentari,

Una crisi di fiducia è una crisi politica.
La buona notizia è che in democrazia non esiste problema politico che non possa risolversi politicamente. È per questo motivo che oggi, qui con voi, vorrei discutere le questioni politiche fondamentali: dove siamo e come dobbiamo procedere, e vorrei soffermarmi sulla direzione politica e sull’ideale che dovrà ispirare le nostre decisioni politiche.
Non starò certo qui a elencarvi le singole decisioni. Nella lettera che ho rivolto al Presidente del Parlamento europeo, e che avete appena ricevuto, ho indicato le priorità immediate della Commissione che discuteremo insieme prima dell’adozione, in autunno, del programma di lavoro della Commissione.

Oggi rivolgo a voi questo messaggio: l’Europa ha bisogno di muovere verso una nuova direzione, che non potrà più cavalcare le vecchie idee. L’Europa ha bisogno di un nuovo pensiero.
Quando parliamo della crisi, e tutti ne parliamo, siamo veramente consapevoli di tutte le conseguenze delle nostre azioni? Quando parliamo di globalizzazione, e tutti ne parliamo, ne cogliamo veramente le ricadute sul ruolo di ogni Stato membro?

Il punto di partenza di questo nuovo pensiero per l’Europa è comprendere tutte le conseguenze delle sfide che siamo chiamati ad affrontare e che stanno rivoluzionando il mondo.
Il punto di partenza è smettere di voler trovare risposte alle domande sul domani utilizzando gli strumenti di ieri.

Dall’inizio della crisi abbiamo visto di volta in volta che i mercati mondali interconnessi sono più veloci e quindi più potenti dei sistemi politici nazionali divisi. Questo discredita il processo decisionale politico agli occhi dei cittadini e fomenta le spinte populiste e estremiste in Europa e altrove.
La verità è che, in un mondo interconnesso, i singoli Stati membri dell’Europa non sono più in grado di pilotare efficacemente il corso degli eventi, ma intanto non hanno nemmeno dotato la loro Unione – la nostra Unione – degli strumenti necessari per far fronte a questa nuova realtà. Siamo in una fase di transizione, in un momento cruciale che richiede decisioni e leadership.
Sì, la globalizzazione vuole un’Europa più unita.
Più unità vuol dire più integrazione.
E più integrazione vuol dire più democrazia, più democrazia europea.
In Europa questo significa accettare come prima cosa che siamo tutti nella stessa barca.
Significa riconoscere il carattere comune dei nostri interessi europei.
Significa accettare che i nostri destini sono interdipendenti.
E significa fare appello ad un senso genuino di responsabilità e di solidarietà comuni.
Perché dai compagni di viaggio su una barca in tempesta si pretende come minimo lealtà assoluta.
Solo così riusciremo a stare al passo con i cambiamenti. Solo così raggiungeremo la dimensione e l’efficienza necessarie per incidere sulla scena mondiale. Solo così riusciremo a preservare i nostri valori – perché di valori si tratta – in un mondo che cambia.

Nel XX secolo un paese di 10 o 15 milioni di abitanti poteva incidere sulla scena mondiale. Nel XXI secolo anche i più grandi paesi europei rischiano di rimanere schiacciati tra giganti mondiali come gli Stati Uniti e la Cina. Il ritmo della storia incalza. Se la Gran Bretagna ci ha messo 155 anni per raddoppiare il PIL pro capite, gli Stati Uniti ce ne hanno messi 50 e la Cina appena 15. E se volgiamo lo sguardo a alcuni dei nostri Stati membri, vediamo trasformazioni economiche altrettanto impressionanti.

L’Europa non manca certo di mezzi. Anzi, ne abbiamo molti di più oggi rispetto alle vecchie generazioni, confrontate a sfide simili, se non peggiori. Ma dobbiamo saperli usare e mobilitarli insieme.
È tempo di decidere e agire in funzione e misura delle proprie ambizioni.
È ora di smetterla di dare risposte frammentate e impantanarsi.
È tempo di imparare dalla storia e scrivere un futuro migliore per la nostra Europa.

Potrebbe interessarti